All Posts from September, 2005

Madredeus a Salonicco

September 28th, 2005 | By benty in Senza categoria | 6 Comments »

 (il solito post nostalgico su Lisbona, alla fin fine)

I portoghesi Madredeus, nonostante la sconfitta nella finale dell’europeo di calcio dell’anno scorso che ancora brucia, sono tornati in Grecia, e guardaallevolteilcaso proprio a Salonicco. Il concerto si tiene al Megaro Musikì, un teatro grandissimo e moderno, con una acustica sopraffina. Mi devo segnare, per la prossima volta che ci vado, che a un teatro così elegante non si va in sneakers, jeans sporchi e tshirt quantomeno discutibile. Non se parecchi di quelli attorno a te sono dei vegliardi vestiti di tutto punto, e si sono portati pure i binocoli (proprio come a teatro) per vedere il gruppo sul palco, che in effetti resta lontanuccio. Ritenetevi comunque persone fortunate, perché quest’oggi vi beccate due recensioni di un concerto, al prezzo di una.

Recensione numero uno: l’oggettivo critico musicale. (Objectivo um caralho, eu amo os Madredeus)

I Madredeus sono invecchiati, o se vi suona meglio diciamo che sono maturati. Le chiome imbiancate dei componenti maschili del gruppo, vi rammentano che Lisbon Story, il film di Wenders che li ha fatti conoscere al mondo risale a un sacco di anni fa. Come si classifica la musica dei lisboetas? In che categoria la infiliamo? Non ha la pesantezza dolce e la violenza vocale del fado, non è propriamente musica tradizionale, non è musica da camera, molti l’hanno sbattuta nell’enorme calderone residuale della musica “etnica”, che non vuol dire assolutamente nulla. Un basso acustico e due chitarre, più tastiere discretissime. Poche e sobrie le luci sul palco. E poi Teresa, che è ben più della sua voce splendida, è una presenza che catalizza l’attenzione del pubblico senza bisogno di trucchi, frizzi e lazzi, senza quasi bisogno di muoversi, le basta sorridere. Si concede solo il vezzo di un cambio di abito nell’intervallo. Le chitarre disegnano paesaggi malinconici, si incastonano a meraviglia, dipingono delicatissimi azulejos, tratteggiano trame acustiche leggere su cui la voce di Teresa si adagia, si immerge, si staglia, sopraneggia soave, pennella tinte pastello, canta la saudade e l’amore che finisce, che si agogna, che si nasconde fra i vicoli della Mouraria e dell’Alfama. In un brano magari ti accennano un tocco di blues, che poi – pensi – è sempre la musica del dolore, come il fado, come la rebetika greca, come certo flamenco Andaluso. L’alma latina in certi passi esce allo scoperto, tradita da rari arpeggi di chitarra appena più spagnoleggianti, ma gli assolo non sono mai ingombranti, mai egocentrici, mai superfluo sfoggio di tecnica, nulla risulta fine a sé stesso nella musica dei cinque “alfacinhas”. I Madredeus sono puro sentimento, sottoforma di musica malinconicamente essenziale, eppure dolce e sofferente. Si celebra lo struggimento per la perdita, la mancanza e la lontananza, senza eccessi melodrammatici. Non puoi non volergli bene ai Madredeus, se non ti piacciono sei solo un mostro senza cuore, e meriti di votare Forza Italia. Puoi al limite – dopo un po’ – trovarli noiosi, perché piuttosto raramente il ritmo cresce, puoi criticarli perché troppo romantici e monotematici, puoi pensare che siano un po’ stronzi perché del loro capolavoro Ainda (soundtrack di Lisbon story) ti suonano solo un pezzo. Se ti sforzi puoi pensare che siano insopportabilmente campanilisti, perché nelle canzoni proposte ieri sera – e in gran parte del loro repertorio, la capitale lusitana è celebrata, evocata, fa da sfondo e da protagonista, ricorre in maniera quasi ossessiva, e se non è lei è il suo fiume, i suoi quartieri, la sua luce. Ecco, trovata la definizione, i Madredeus suonano Lisbona. Ma fondamentalmente sto parlando a te, sciagurato lettore, i cui occhi non si sono mai posati sulle meraviglie della città più bella del (mio) mondo.

Recensione numero due: the emotional me, for Lisbon impaired

Perdonerete l’ingenua onestà del vostro cronista, ma ammetto che su Ceu da Muraria ho trattenuto a stento le lacrime, e ci avevo i brividi come uno smidollato. Quando ad ascoltare una musica che già di suo è fortemente emozionante si ritrova una audience (per vari motivi) così concentrata seppure numerosa, l’atmosfera che si viene a creare è quella perfetta per questo tipo di concerti. Ci si può permettere un ascolto attento. Coi Madredeus, che furono la colonna sonora dei miei dieci mesi a Lisbona (oltre a tante, troppe altre musiche – ma qui poi diventa un discorso lungo, meglio lasciar perdere), la melodia man mano si trasforma per il sottoscritto in un torrente lavico di ricordi, fra cui quello di sé stesso di otto anni prima, mentre si trovava in paradiso, ovvero in una calçada in fondo al Bairro de Santa Caterina. Piena, personale, dolente saudade portuguesa. Maledizione, ci sono ricaduto. L’attenzione di cui sopra va a farsi fottere a lunghi tratti. Sulle note dei Madredeus scorre davanti ai miei occhi inumiditi un film – proprio come in Lisbon Story (ma questa E’ una Lisbon story!) – o meglio scorrono immagini montate alla rinfusa, posti e volti, profumi e viaggi, bevute di absinto e discorsi infiniti, vicoli con tavole imbandite la notte di Sant’Antonio, feste affollate e notti di solitudine, voci amiche, personaggi secondari, lingue diverse, case, piazze, colori. Le nuvole sopra Lisbona, che si rincorrono e cambiano forma come in nessun altro posto, veloci da non crederci quasi. Si ricordano passeggiate solitarie alcoliche alle sei di mattina, scendendo dal Bairro Alto, quando si aveva in una mano la felicità e nell’altra un panino caldo col chourizo. Quando alzando il naso ti ritrovavi a destra il Chiado, quando ti sentivi un po’ il padrone del mondo, e sapevi che la tua vita, se c’era un Dio, sarebbe dovuta continuare lì, per sempre accanto al Tejo e sotto lo sguardo benevolo del Cristo Rei.

Ma come avrete appreso subito dopo l’inconsistenza sulle voci riguardanti Babbo Natale, non c’è nessun Dio, e neanche la felicità di quel tipo dura. Se ci hai culo te la vivi un po’ a sprazzi, brevi e violenti. E in quel caso devi ringraziare Dio (che però – appunto – non c’è, ma fa lo stesso). Questa, anche se non sembra, era una recensione del concerto dei Madredeus .

Sikose to gamimeno, den borĂ² na perimeno

September 26th, 2005 | By benty in Senza categoria | 8 Comments »

E dopo l’europeo di calcio, dopo il trionfo all‘Eurovision, di nuovo la Grecia sale sul tetto d’Europa. Solo ieri s’erano guadagnati l’accesso alla finale del campionato europeo di basket ai danni della Francia, con un fortunoso tiro da tre punti imbroccato negli ulitmi sei secondi da Diamantidis. I titoli dei giornali del giorno successivo risultavano misurati come consuetudine; il più sobrio urlava a caratteri cubitali EROI. Oggi i degni eredi di Alessandro Magno, seguiti da tutta la nazione che li aveva praticamente snobbati fino al giorno prima, hanno domato gli alemanni capitanati dall’NBA Nowitzki, protagonista di una gara scialba, ma al termine permiato come top scorer ed mvp del torneo nientepopodimenochè da Divac. Come sempre mastini in difesa i Greci, veloci a rubar palle su palle ai crucchi e con un inaspettato dominio ai rimbalzi. Infine le imbarazzanti percentuali al tiro dei tedeschi hanno dato vita facilerrima agli ellenici, sempre largamente avanti nel punteggio, fino alla fine. Una gara noiosa e senza thrilling, con una premiazione di lunghezza inaudita. Il basket europeo sta all’NBA come  Mariangela la figlia di Fantozzi sta a Nina Moric. Però è sempre una scopata, mi si potrebbe obbiettare cinicamente. E quindi tutti a orgasmare sotto la Torre Bianca simbolo della città, in macchina, in motorino, che tanto la benzina ultimamente costa poco, tutti a festeggiare, ammantati dalle imperiture bandiere biancoblu, fra ultranazionalisti al settimo cielo ed ubriaconi di varia sorta. Evviva la Grecia! Scommettiamo che domani il governo fa passare pian pianino un paio di privatizzazioni e indebolisce con nuove leggi la posizione dei lavoratori, e non se ne accorge nessuno?

PS il titolo è uno dei cori più gettonati: alza la fottuta (coppa) non posso più aspettare. Il coro più bello recitava invece: "mi sono rotto i coglioni di vincere coppe europee". Bisognerebbe avere stile anche nei momenti migliori, però m’ha fatto ridere un bel po’.

God is a dj, Benty is unemployed

September 24th, 2005 | By benty in Senza categoria | 7 Comments »

A Urbino suscitai l’irrefrenabile ilarità degli indiebloggerdjs circostanti, sostenendo con sicumera che al mio ritorno in Grecia, avrei trovato un altro bar dove metter musica in un batter d’occhio. Avevano ragione loro invece, nonostante l’esorbitante numero di locali di questa città, non sarà facile accasarsi da qualche parte per una residence il sabato. Ma non mollo, ci mancherebbe altro. Cominciamo dalla fine.

Al Cuervo non mi trovavo male: tutti i sabati cominciavo a metter musica alle dieci circa, fino a che l’ultimo avventore non decideva di togliersi dalle scatole, in genere mai prima delle cinque del mattino. L’unica condizione che avevo dettato al momento del mio tribolato ingaggio era avere carta bianca sulla musica da suonare e disporre di birre fresche sempre al mio fianco. L’inizio fu piuttosto complicato, i lettori cd erano sorprendentemente buoni per gli standard del bar salonicchesi (dove in genere non leggono manco i cd originali), ma il mixer non disponeva di preascolto (?!) e dovetti portare il mio (mai mettersi in viaggio per la Grecia senza avere un mixerino dietro) con tanto di cuffie. La prima serata fu un incubo in cui per passare da un pezzo all’altro dovevo ogni volta inginocchiarmi e cercare, pressochè al buio, le minuscole manopoline dei volumi sull’amplificatore, senza crossfader, e dovevo contemporaneamente abbassare un volume di un canale e alzare l’altro, senza sapere se il pezzo successivo sarebbe partito oppure no e a che volume. Annaffiate tutto con un paio di litri di birra e traete le logiche conclusioni sugli esiti della serata. Nonostante ciò decisero che ero l’uomo giusto al momento giusto. Nel posto sbagliato, ma l’avrei capito solo qualche mese più tardi.

Il Cuervo era piuttosto lontano dal centro, ed era un locale a metà fra il bar – (dove con tale definizione si vuole indicare un posto dove si servono soprattutto bevande alcoliche, aperto solo di sera, poco illuminato, frequentato da gente che va dai 18 ai 40 anni, con musica abbastanza alta da dover parlare a voce sostenuta e un arredamento curato o quasi) – e il kafenio (posto parecchio illuminato, aperto anche di giorno, frequentato anche da ragazzi in età scolare e a volte da over 50, dove si servono soprattutto caffè, e la musica é nel migliore dei casi un brusio indistinguibile di sottofondo, arredato in modo sciatto e con poca personalità, dove i giochi da tavola la fanno da padrone).

Già mi dilungai a suo tempo sul fatto che nei “rock bar” dell’Ellade la gente non balla, probabilmente perché si perdono punti scena. Ciò libera il dj dalla tradizionale schiavitù del pezzo da “ass-shaking”, consentendo di passare anche brani meno vivaci. Se la gente non balla insomma non e’ che la serata sia un fallimento, altresi’ se ondeggiano la testa a tempo e canticchiano o magari ti domandano di cosa si tratta, hai gia’ raggiunto il tuo scopo nel rock bar greco. Peraltro il Cuervo neanche ci prova a qualificarsi come rock bar, quelli sono tutti al centro. La clientela era composta da personaggi decisamente incompatibili con ascolti tipo Arcade Fire, quando andava di lusso mi chiedevano di mettere i Red Hot Chili Peppers. C’erano un paio di clienti fissi che apprezzavano la robaccia che suonavo, e mi facevano anche i complimenti davanti ai padroni del locale, i quali a loro volta si vantavano con i loro avventori di avere il dj straniero e, a detta di questo paio di alcolisti, anche capace di selezionare musica discreta. Per gli altri ero un fantasma. O anche di meno, venivo visto come uno che metteva musica sconosciuta, e quindi fastidiosa, che non piaceva. Li vedevi molto più presi quando, prima del mio arrivo, a suonare era il winamp in shuffle mode del computer, dalla cartella House. Fortunatamente venivano spesso a trovarmi degli amici, e per stessa ammissione dei padroni il sabato il locale si reggeva sui pochi clienti che ci trascinavo io.

All’inizio tutto sembrava andare per il verso giusto. In mia assenza, un paio di volte, chiamarono a suonare altri tipi che vennero allontanati a metà serata, e dal confronto uscivo sempre trionfante. Ero io il resident dj del Cuervo, inamovibile, e non pagavo da bere neanche quando ci andavo come cliente negli infrasettimanali.

Poi divenne chiaro che i miei sforzi di proporre ascolti tutt’altro che ricercati o difficili, ma che qui non hanno ancora attecchito, erano totalmente vani, in quanto la musica restava in secondo piano. La maggioranza della gente non ascoltava in primis, e poi anche chi avesse voluto ascoltare non poteva farlo, essendo i proprietari in costante allarme per via del volume.

Ogni domencica mattina gli inquilini del piano di sopra scendevano minacciando di chiamare la polizia la volta successiva. Il capo era stressatissimo durante la serata per via dei bassi soprattutto. Tutto ricadeva ovviamente su di me. Mi ritrovavo sotto un fuoco incrociato, fra gli insulti dei pochi clienti-amici che si lamentavano perche’ la musica non si sentiva, e quelli del proprietario che veniva ad abbassarmi personalmente il volume (cosa che mi manda in bestia) peraltro bestemmiando.

A un tratto iniziarono a lamentarsi che non mettevo musica abbastanza vivace, dove per vivace si intende musica greca di merda. Non é che passassi le serate a mettere i Black heart procession o Songs ohia: in ogni altro bar del mondo (tranne nelle Marche dove nei bar non c’é bisogno di dj, che ci pensa MTV a dispensare merda) sarei passato come un commercialotto che suona spudoratamente roba da NME, come i Kaiser Chiefs o (ancora !) i Franz Ferdinand. E poi spiegatemi il significato di mettere musica “vivace” quando lo squillo di un cellulare é già sufficiente a coprire la musica. Insomma, i rapporti si stavano incrinando vistosamente, quando mi annunciarono che d’estate avrebbero eseguito dei costosissimi lavori di isolamento acustico, cosicché, mi dicevano, "Potrai suonare la tua bella musica ad un volume finalmente adatto". Sprizzavo gioia da tutti i pori, sognavo che le mie playlist, proposte ad un volume decente, avrebbero finalmente sortito effetti miracolosi sui difficili ascoltatori greci, che il messaggio sarebbe passato, finalmente il trionfo della BUONA MUSICA.

Invece una triste solitaria e final serata di luglio decido di passare dal Cuervo per vedere come vanno i lavori e per salutare i ragazzi, che fa tanto squadra. Il padrone, costringendomi a farmi una birra ancora (avete letto bene, costringendo me) mi prende da parte, con un tono affranto e fraterno e mi fa “Volevo parlarti”. Le cose si mettono male, penso. “A me personalmente la tua musica fa impazzire, sei bravissimo, il sabato se non c’eri tu a portar gente avremmo tranquillamente potuto chiudere”. Complimenti fuori luogo e bugie: le cose si mettono malissimo, penso. “Sei un ragazzo d’oro e veramente ti vorrei ringraziare perche’ sei uno che lavora duro, non ti staccavi mai da quella consolle, si vedeva che ti piaceva proprio suonare”. Stiamo andando sul personale e siamo passati ad un tempo imperfetto che non annuncia nulla di buono: o mi dichiara che e’ omosessuale e innamorato perdutamente di me o mi sta per cacciare, resta solo da attendere il finale.” Il fatto e’ che ti sarai accorto, alla gente che viene qui questa musica non piace. Vogliono ascoltare musica che conoscono, magari greca. So che tu non la suoneresti mai e quindi neanche te lo chiedo. Pensavo che il sabato ci saranno dei live, o iniziative simili. Tu non sei fatto per suonare qui, la gente non ti capisce, tu devi trovare un bar in centro, sei di un altro livello”. Ecco lo sapevo: io ero già lì, con le labbra protese e gli occhi socchiusi ad attendere fremendo il mio primo bacio omo, e invece questo mi licenzia sparando cazzate. Tanto non era il mio tipo.

Il lavoro di insegnante mi terrà tutte le sere a scuola almeno fino alle undici, tutti i giorni tranne il fine settimana. Avevo trovato un locale dove cercavano un dj per il venerdì, ma avrei dovuto cominciare verso le 21.30, quindi nisba. Per il resto non sono riuscito a trovare il tempo per cercare qualche locale adatto e con un posto vacante. Quindi sono ufficialmente un dj disoccupato: se conoscete qualche bar a Salonicco alla disperata ricerca di un giramanopole con una spiccata tendenza verso l’alcolismo, per il sabato sera, fatemi un fischio. Devo mantenere la figura professionale di insegnante-dj, a tutti i costi.

Cure (me I’m sick) – post retroattivo

September 17th, 2005 | By benty in Senza categoria | 7 Comments »

La decisione di andare a vedere i Cure, che suonano il primo settembre ad Atene presso il Terra Vibe festival, viene presa fuori tempo massimo, ovvero la sera prima di partire. Contestualmente alla decisione mi ammalo  e subisco un tracollo fisico verticale. Febbre, tosse, raffreddore. Guarda caso piove a dirotto l’indomani e io, già febbricitante, mi inzuppo come un deficiente sbrigando le ultime commissioni. I biglietti li compreremo circa dieci secondi prima della chiusura dell’unico punto vendita di Salonicco. Mi libero verso le 3 e partiamo solo alle 4, i Cure cominceranno verso le dieci, in cinque ore fino ad Atene ce la dovremmo fare comodamente. Le mie condizioni in viaggio sono pietose: senza aver chiuso occhio la notte precedente praticamente moribondo mi accascio esanime sui sedili posteriori della macchina, sperando che i Cure possano sortire qualche effetto terapeutico (nomen omen) sul sottoscritto. Entriamo nel recinto del Terra Vibe nel momento esatto in cui esplode il boato della folla; almeno 20000 cuori darkettoni in estasi davanti a cicciobello Smith e compagnia curante, seppur detastierizzati. Quasi subito hanno suonato Fascination Street, poi hanno alternato robe di Bloodflowers a brani da classifica come Friday I’m in Love e Lulluby, Lovesong e Just like heaven, deliziandoci nel finale con i pezzi per cui ci portiamo il simpatico scapigliato goth nel cuore, come Killing an Arab, Fire in Cairo, Three Imaginary boys, , e ovviamente Boys don’t cry. La precisa motivazione per cui avevo deciso di svenarmi economicamente e dare fondo alle ultime energie vitali per andare a vederli dal vivo era chiaramente la possibilità di trovarsi, seppure in ritardo, seppure malati, seppure da 200 m di distanza, a faccia a faccia col mito, prima che tiri le cuoia. Va da sé che mi aspettassi la performance commovente di un reduce fiacco e patetico, appena in grado di tenersi in piedi. Ovviamente Robert Smith non e’ Iggy Pop sul palco, al massimo agita le braccia teatralmente e si muove lento e goffo dentro la sua camicia nera, che il nero snellisce sempre. Ma la voce e’ ancora integra e toccante, la stessa che su disco intonava l’amore adolescente tormentato. E sinceramente non mi aspettavo di vederlo sul palco, in piedi per tre ore, con ben quattro ritorni in scena, sfinito e commosso. La musica ha sorpreso: forti di una acustica eccellente la superba scaletta e’ filata via liscia senza alcun inconveniente tecnico. Se proprio dobbiamo fare le pulci alla serata, forse si potrebbe eccepire un suono eccessivamente elettrico e pesante (forse per sopperire alla mancanza di keyboards), anche su canzoni dall’anima profondamente pop, seppure scura, che su disco si lasciano amare per via delle chitarre agili, e non tanto per quelle simil-metallare sentite a tratti ad Atene. Ma l’intensità, quella no, non e’ mancata affatto. Rientro alle sette di mattina, senza chiudere occhio per tutto il viaggio di ritorno, dopo illimitate discussioni musicali con Lefteris, instancabile alla guida. L’ingresso trionfale a Salonicco avviene fra le imperiture note di "Storie di tutti i giorni", interpretate da un Riccardo Fogli in pieno spolvero. Cosa ci facesse su una frequenza greca quella canzone di venerdì mattina non me lo domandate, che proprio non lo so.

Qui altre recensioni enusiastiche e la scaletta

Come ti tiro su una scuola privata di lingua italiana in Grecia, in dieci semplici mosse

September 11th, 2005 | By benty in Senza categoria | 18 Comments »

La dolorosa – per voi – assenza del tenutario del presente blog non era da ascriversi, come di solito accade, ad un blocco dello scrittore, nè (ahimè) a delle vacanze prolungate. Tutt’altro. Cose da dire ce n’erano, altrochè. Tutte scarsamente significative come sempre, ma ce n’erano. La causa principale, oltre alla mancanza di una linea internet per un mese, è da ricercare nella folle impresa che potete  leggere sinteticamente nel titolo di questo post, ed analiticamente nei dieci punti sottostanti

1. Attendere l’offerta

Essendo in Grecia, non è che uno si fa venire delle idee da solo. Si lascia pazientemente il tempo alle idee perchè vengano a te. Dicembre dell’anno scorso, la capa mi chiama perchè, dice, deve parlarmi. Io temo il licenziamento, e invece arriva la proposta-shock: "Mettiamo su una scuola insieme a Kalamarià (hinterland riccastro a oriente della ridente Salonicco – ndB)". Non ci penso un attimo e accetto. E’ il mio sogno da sempre distruggere il sistema capitalistico dall’interno, e vedrete che ci riuscirò.

2. Attendere e basta

Essendo in Grecia, si attende. Per qualunque cosa. Nel mio caso circa sette mesi. Così, senza colpo ferire, la proposta va in sonno, e non vi si fa ulteriore cenno, come se non se ne fosse mai parlato. Tanto da temere a più riprese che si fosse trattato solo di una crisi di schizofrenia galoppante della capa, e quindi si torna a temere il licenziamento. Nel frattempo la proposta resterebbe l’unico motivo per restare in Grecia, che l’altro motivo, nel frattempo, ci ha repentinamente piantati, abbandonandoci da soli a casa. Si, ci piace farla molto più tragica, il nome del blog non è casuale. Non si demorde comunque.

3. Cercare dei locali da affittare

Nel frattempo la potenziale società – ancora inesistente – si arricchisce dell’ingresso di un terzo elemento, designato al coordinamento dei corsi di spagnolo e al supporto logistico del sottoscritto alla direzione. Accolgo la novità con sollievo. Alla fine delle lezioni, (maggio-giugno) si inizia freneticamente a correre per realizzare l’ambizioso progetto. Punto primo: cercare dei locali da affittare. Non è così semplice come sembra. Kalamarià ha dei prezzi d’affitto che neanche Manhattan, impallidiamo a più riprese. I posti migliori sul pesodromo (l’isola pedonale/corso della città, dove si fa lo struscio) se li sono già accaparrati altre scuole, e noi dobbiamo essere presenti là. La maggioranza dei proprietari di immobili è composta da una schiera di psicopatici, e questo non facilita le cose. Inoltre parecchi condomini praticano un ostruzionismo imperterrito contro le scuole: non le vogliamo nei nostri edifici, ci sentiamo dire. Gli studenti portano caciara, sporco e malattie. Queste le inoppugnabili argomentazioni. Così, per semplificarsi la vita e riparmiare sull’acquisto dei quotidiani di annunci immobiliari, si decide anche di trasferirsi a vivere in zona, nello stesso periodo. Si arricchisce il bagaglio lessicale con termini essenziali quali "ammobiliato, appena ristrutturato, e vista incomparabile". Evidentemente in italiano significano cose diverse.

4. Combattere contro gli imprevisti

Il giorno prima della firma del contratto di nascita della società, l’elemento subentrato si defila accampando scuse quali "Ho scordato la moussakà in forno, mi spiace dovrete fare senza di me". Ci si dimezza immediatamente il capitale, che resta comunque sufficiente per l’acquisto di una Skoda usata, al limite. Il giorno prima della settimana di fuoco ci si becca rispettivamente1) la socia colica intestinale, che la mette ko, ricoverata per due giorni 2) io influenza corredata da sfebbrate, tosse, raffreddori tutt’ora in corso. Indovinate su chi ricade tutto il lavoro in quei due giorni? Indovinate in quali giorni dell’estate greca viene a piovere mentre il sottoscritto smadonna e perde muco in quantità industriali per le strade della città? Indovinate chi diviene completamente afono il giorno che deve effettuare due fra le telefonate più importanti dell’intera faccenda? Indovinate chi, incurante di tutto ciò, la sera stessa se ne va a vedere i Cure a 500 km di distanza in auto e torna il mattino dopo alle sette?

5.Combattere contro la burocrazia

Delle mie odissee nei meandri più spaventosi della burocrazia greca già sapete. Qui il tutto si innalza all’ennesima potenza, e raggiunge vette di lirismo sublime, roba che il Processo di Kafka era una passeggiatina in riva al mare. Uffici pubblici greci ad agosto: il vostro incubo peggiore. Roventi, semivuoti di impiegati e strapieni di gente in fila, popolati da esseri metà umani e metà moduli da compilare, in greco. Praticamente de-informatizzati, si conta un pc ogni dieci persone sedute dietro gli sportelli. Trafile infinite, timbri da mettere su un documento che si possono ottenere solo vincendo una caccia al tesoro, convalide per avere le quali occorre sobbarcarsi viaggi transcittadini, e sentirsi dire alla fine che "No, non era questo che le avevo chiesto". Fantozzi non era commedia, bensì solo fantascienza in salsa ellenica. Resta il quesito irrisolto: perchè in tutti i documenti da compilare occorre scrivere anche i nomi dei propri genitori?

6. Attendere l’arrivo di mammà

Le corse infinite fra burocrazie e acquisti in vista dell’apertura hanno un leggerissimo effetto collaterale, si trascura tutto il resto, inclusa l’igiene personale. Ciò può comportare diversi problemi se vi siete appena trasferiti, e praticamente in casa non funziona nulla. Poi ci si sorprende realizzando che si sono improvvisamente accumulati dei mucchi di mondezza in terrazzo, con la preoccupante presenza di gabbiani che volteggiano attorno. Ma siamo adulti, sappiamo fronteggiare questi inconvenienti, abbiamo tempra, ci daremo da fare. E infatti arrivano d’urgenza dall’Italia mammà e papà, con la scusa di vedere casa nuova e la scuola si insediano per una settimana, cimentandosi in una serie di lavori casalinghi che non avrei risolto nemmeno in due anni e con copiosi esborsi di euri. Quando si dice l’autonomia raggiunta.

7. Coordinare il lavori di ristrutturazione

Le leggi greche per i locali da adibire ad aule per i centri di insegnamento di lingua straniera hanno vincoli parossistici. I cessi possono essere delle turche minuscole senza finestre, visto che a riguardo non viene detto nulla, ma guai a costruire corridoi che siano miniori di un metro e venti e ad avere scale con scalini maggiori di 18 centimetri. Tutto ciò va spiegato a degli operai albanesi, che nel frattempo ritardano la consegna e gonfiano di giorno in giorno il preventivo, roba che neanche la manovra fiscale del governo Prodi. Non vi dico le risate al momento di scrivere sulle fatture con un albanese e un italiano che non sanno scrivere in greco. Uno spasso.

8. Immedesimarsi nel ruolo del proprietario

Il primo passo verso la perfetta immedesimazione nel ruolo di imprenditore, nel metodo Stanislavsky, è quello di sviluppare un odio viscerale per gli impiegati pubblici. Sono viscidi, odiosi, nullafacenti, indisponenti, sarcastici, impietosi. Occorre ripeterlo tutte le mattine davanti allo specchio dieci volte. Maledetti parassiti, penso, mentre prendo il sussidio di disoccupazione che in realtà non mi spetterebbe neanche. Altra imprescindibile tappa del vostro cammino verso lo status di imprenditore è quello di trattare con supponenza i propri sottosposti. Io non ne ho ancora, purtroppo. Quindi provo a fare la voce grossa con i fornitori per ora, e davvero non mi spiego le loro convulsioni dalle risate ogni volta che tento di imporre la mia rigorosa linea aziendale (no, in realtà non ho neanche quella). Con gli operai albanesi invece occorre essere simpatici, che non si sa mai. Però si diventa razzisti, e si capisce che si è  sulla strada buona per completare il proprio personale cammino di crescita imprenditoriale, ovvero diventare degli stronzi belli e fatti. Io che sono diligente e ci tengo a diventare un piccolo emulo di Berlusconi ho già iniziato a piangere lacime amare per i soldi versati in tasse, introducendo ogni frase col lamentoso refrain "Lo stato si mangia tutto il nostro lavoro". E’ assolutamente irrilevante che io non abbia ancora effettuato alcuna dichiarazione dei redditi, nè presentato alcun bilancio aziendale. Pur non avendo pagato nulla agli avidi esattori, tanto lo so che sarà così, e allora meglio portarsi avanti col lavoro. Per fare e per crescere.

9. Marketing aggressivo

Il fatidico giorno dell’apertura delle iscrizioni si avvicina, avete già litigato col tipografo, col grafico, con quello delle tabelle luminose. Non avete uno straccio di materiale pubblicitario, nè una qualsivoglia insegna che indichi dove cacchio dovrebbe stare sta famosa scuola di cui non fate altro che parlare. Allora appendente l’unica cosa in vostro possesso, un vecchio banner impolverato della scuola centrale, col numero di telefono sbagliato, assicurato a dei tubi arrugginiti con del fil di ferro abilmente ottenuto da delle gruccette da tintoria. Quando si dice attenzione alla sicurezza.

10. Attendere le iscrizioni

E qui comincerà, da domani, l’agonia. Verranno ad iscriversi ai corsi di lingua i piccoli bastadi? E’ normale vedere quindicenni ambosessi che camminano per le strade del quartiere trasformarsi in sacchi di fruscianti euri? Riuscirà il vostro eroe a metter su dodici stipendioli l’anno contro gli otto del suo precedente lavoro? A quando i festeggiamenti per il primo milione di euro? Riuscirò a realizzare il sogno di diventare il primo direttore di scuola che ha gravisimi problemi a scrivere nella lingua locale? Riusciremo a fallire prima o dopo Natale? A questi ed altri interrogativi troveremo risposte, battistianamente, solo vivendo

 

Support Disco Drive

September 4th, 2005 | By benty in Senza categoria | 7 Comments »

Prima di iniziare con le cacchiate che di solito imbrattano queste pagine azzurrine, una lettera aperta. Support indie bands in need !

Il primo settembre il furgone dei DISCO DRIVE è stato scassinato, e tutto il suo contenuto rubato: una batteria, un’altra mezza batteria, due bassi, una testata da basso, due casse da basso, due chitarre, un amplificatore da chitarra, due coni di un altro amplificatore da chitarra, una borsa di percussioni, due valigette di cavi e pedali, una sessantina di magliette, una cinquantina di cd. Persino un sacco a pelo. Ci resta giusto il tappeto per la batteria. E i vinili, che a quanto pare non fanno più gola nemmeno ai ladri.
Inutile dilungarsi. Chi di voi suona conosce la mole di passione, sacrifici, tempo e denaro che questo comporta. E avrà già capito. Chi di voi non suona, può provare ad immedesimarsi. Improvvisamente i nostri progetti (concerti, tour europeo, nuovo disco) sembrano più impegnativi, minati dallo sconforto e dalle difficoltà pratiche ed economiche enormi che ci attendono nei prossimi mesi.
Voi, se volete, potrete darci una mano in qualche modo:
– spargendo la voce alle vostre rubriche di email, tramite il vostro sito, al bar, dove volete;
– dando un’occhiata alla LISTA DETTAGLIATA del materiale rubato (che potete richiedere a
mailto:andrea@discodrive.org, NdR), e avvertendoci immediatamente nel caso vi capitasse di vederlo in giro;
– facendoci sapere di eventuali strumenti e amplificatori usati che voi o dei vostri amici vogliate vendere;
– versando anche la più minuscola delle DONAZIONI tramite PAYPAL all’indirizzo
mailto:bros@discodrive.org ed attendendo con fiducia fino a quando tempi più sereni ci permetteranno di ringraziarvi a dovere;
– organizzando anche il più minuscolo dei benefit: un concerto, una cena, una festa, qualunque cosa vi venga in mente. Sarebbe meraviglioso.
Noi nel frattempo proveremo a farcela ugualmente come sempre, ovvio.
Avanti sempre, indietro mai.

Alessio, Andrea, Jacopo
Disco Drive

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We are losing all your charme

September 2nd, 2005 | By benty in Senza categoria | 8 Comments »

Stiamo tornando. E’ inutile che fate finta di rallegrarvi adesso, che come minimo vi toccano le diapositive delle vacanze. Così imparate.