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Croccantissima e roghenroa

October 27th, 2011 | By benty in Senza categoria | Comments Off on Croccantissima e roghenroa

Record Stor(i)e Day

April 12th, 2011 | By benty in Senza categoria | Comments Off on Record Stor(i)e Day

Dice che il sedici aprile si festeggia il Record Store Day, il giorno dei negozi di dischi e quindi si glorificano soprattutto i vinili. La prima cosa che mi viene da chiedervi sarebbe cosa vi hanno fatto di male le (audio)cassette, formato di gran lunga protagonista della mia infanzia e adolescenza e supporto primigenio della pirateria fatta in casa? Ma va bene, stavolta parliamo dei vinili. Tagliamo corto: io di vinili ne ho pochi e quasi tutti di merda. Intendiamoci: il mio amore per il vinile è stato grande. Talmente grande da superare il pur ragionevole desiderio di perdita della verginità. E' una storia per niente lunga: la scelta di fronte alla quale mi trovavo nell'estate dei miei 17 anni era strettamente economica. Con la somma di cui disponevo (racimolata fra regali e lavoretti di basso cabotaggio) non potevo certo scialare. O me ne andavo in campeggio all'estero con gli amici che ci erano già andati l'anno prima tornando a raccontarci mirabolanti gesta erotiche (che per essere delle "prime volte" uno a sentirli ci restava secco) o realizzavo il sogno di un'adolescenza passata sbavando alle spalle dei dj in consolle, ovvero comprarmi un mixer, due giradischi e i primi vinili di orrenda musica commerciale anni 90 (poche storie, se volevi imparare a mixare nel 1990 quella era la musica). Quindi mi fregio (wtf?) di essere fra i pochi casi mondiali in cui il vinile, per l'esattezza il desiderio di imparare a maneggiare vinile, prevalse persino su degli ormoni imbizzarriti da diciassettenne di provincia. Da lì in poi è la solita vecchia storia. Tutte le scarsissime finanze di cui disponevo venivano riversate inusitatamente nell'acquisto di vinile, mix in particolare. Le ore del tempo libero venivano impiegate a vaschettare forsennatamente, ascoltare con attenzione, e provavo a scovare nuovi negozi di dischi –  in particolare quelli specializzati for djs only – in ogni città che mi capitava di visitare (visto che al paisello c'era un solo sfornitissimo negozio). Quello che avvenne poi è che con quella musica smisi, e iniziai a comprare sempre più cd e sempre meno vinili e oggi non posso certo vantare un discoteca invidiabile, a meno che non siate amanti degli Usura, Mephisto e robaccia del genere. Ci ho pure cose tipo il doppio con il best of dei Doors, ma capisco che questa potrebbe addirittura essere considerata un'aggravante, quindi mi fermo qui.

Che fai, reading? Ultimo appuntamento, Schegge di Liberazione

March 19th, 2011 | By benty in Senza categoria | Comments Off on Che fai, reading? Ultimo appuntamento, Schegge di Liberazione


 

Ultimo appuntamento con le storie ad alta voce di Che fai, reading? Oggi 19 marzo, presso la bibliteca pubblica di Fabriano, in via Le Conce 76, alle ore 17 circa, molti degli autori leggeranno brani tratti da Schegge Di Liberazione, accompagnati dalle musiche meravijose di Simonerò, Bicio e Chettimar. Tutte le informazioni qui. Dopodiché Roghenroa That's Greek To Me+ 1+1 Many djs al Circolo Arci iil Corto Maltese, via verdi 7, Fabriano

“Argò the ROCK boat” nights

June 12th, 2010 | By benty in Senza categoria | 8 Comments »

C'era un tempo, e anche quello era tempo di mondiali di calcio, in cui il vostro sempre meno presente benty, alla stregua del suo beneamato presidente del consiglio intratteneva i passeggeri delle navi con la sua musica e la sua verve. La differenza, oltre a quei venti centimetri d'altezza senza tacchi e alla mia chioma folta e naturale, era l'assurda pretesa di passare musica pop, rock e similare di qualità abbastanza decente. La nave all'epoca era l'Arabella. Che però non era l'unica. Assieme all'Arabella c'era e c'è ancora attraccata al lungomare Alessandro Magno la nave reggae, la Cliò. E poi di nave-bar ce n'è ancora un'altra rispetto alla quale quattro anni fa mi esprimevo in questi lusinghieri termini

C'e' un classic rock bar, che non mi ricordo come si chiama, relativamente nuovo, dove la scelta musicale va dai Bon Jovi ai Guns'n'Roses, Dio ce ne scampi.

Ecco, questa meraviglia di locale è l'Argò, dove sono stato assunto come dj.
La prima domanda sarebbe perchè mai? La risposta è semplice: no money no honey.
La seconda sarebbe che musica metti? La risposta va articolata e argomentata. Su questa nave hanno le idee molto chiare sulla musica da suonare. Si tratta di rock, perché si pubblicizzano come nave-bar rock, e sono dei tipi indubbiamente molto rock. Credo nell'accezione celentaniana del termine. Ma il concetto di Rock (il rock è morto/viva il rock) è piuttosto ampio  e sfuggente. In Grecia significa classic hard adult oriented radiofriendly top 100 rock. Ci avete presente Virgin Rock Radio? Ecco, sarebbero plausibili sull'Argò solo i pezzi che riconosce vostro cugino fuoricorso in ingegneria che viene da Comunanza (AP). Il capo, Ilias, mi disse prima del provino "Qui si mette musica commerciale (ma come –  penso – non era rock?) Roba da "Paralìa" (spiaggia, ma anche lungomare , in genere sinonimo di musica straconosciuta pop, hit radiofoniche, per me sinonimo di merda), non pensare di venire qui e mettere roba strana come hanno fatto certi eh?! "

"Ma no, figurati, solo roba conosciutissima, certo, ho capito" ho detto deglutendo e sudando freddo, e pensando a dove avrei nascosto i cd di Belle and Sebastian e degli Arcade Fire. Per il provino dunque mi butto vilmente sullo stracommerciale, con un 80% di rock-pop e poi giusto un po' di tutti gli altri generi che copro di solito (electro, ska, reggae, soul, funk). Considerate che l'orario di lavoro è di 9-10 ore, di tempo ce n'è, di musica anche e devono essere tutti pezzi assai conosciuti in modo da attrarre la gente che passeggia sul lungomare. Non impossibile da realizzare ma richiede impegno e soprattutto mi impone di abbandonare definitivamente l'ingiustificata spocchia musicale che per decenni mi ha contraddistinto. Alla fine del provino, alle 4 e mezza di mattina, dopo aver visto parecchia gente che cantava e ballicchiava, il capo scuote la testa platealmente e mi fa "Hey ragazzo, forse non c'eravamo capiti. Si ok, bella la tua musica ma noi qui suoniamo rock, siamo la nave del rock, passa la reclàme in radio e dice che qui c'è il rock, tutti vengono all'Argò ad ascoltare il rock, perché sanno che c'è il rock. E dove cazzo stava il rock stasera?". Resto ammutolito, pensando che in carriera, secondo i miei paramentri non avevo mai suonato tanto "rock". E che lui peraltro mi aveva esplicitamente richiesto musica commerciale. Intendeva, probabilmente, rock commerciale. Ok, l'importante è capirsi: meglio rispettare il dogma del rock che farli divertire, contento tu.

Che gente frequenta questa amena imbarcazione-bar istoriata con i poster di 300 (this is Spartaaaaa)? Fino alla settimana scorsa si attaccava alle 7 e si finiva alle 4. Quindi fino alle 21 circa la selezionatissima clientela era composta da coppiette, famigliole e anzianotti, turisti random e gente tranquilla che vuole semplicemente farsi un giretto del golfo in barca al tramonto mentre si gusta un caffè. Situazione che costringe me a suonare a volumi piuttosto bassi e generi piuttosto "digeribili". A quell'ora solo pop e soul, niente Ac/dc e Ramones, roba che spopolerà nelle ore a seguire. In sole tre volte che ci ho suonato è già venuta la vecchietta a lamentarsi  "Giovanotto, con questi volumi lei ci danneggia i timpani!". De Luca in "Mamma Mamma voglio fare il dj" insegna, sempre sorridere gentilmente e assecondare per quanto possibile il dancefloor, anche se è il primo dancefloor composto a certi orari da elementi con problemi alla prostata (certo, la nave rock, perdìo!). Sul tardi invece l'Argò si riempie di personaggi abbastanza variegati con una forte propensione musicale per il vecchiume (Santana, Gallagher, Steve Ray Vaughan fra le richieste puntualmente inevase) l'hard e classic rock (Aerosmith praticamente un "riempipista"), l'heavy metal (non avevo mai dovuto preoccuparmi di non avere con me gli Iron Maiden finora) e gli anni 70 più scontati (Doors pressoché obbligatori, come quando avevo vent'anni). Domenica scorsa ci hanno fatto una festa i tifosi del Paok . Pienone, tasso di testosterone insopportabilmente alto, il pezzo più morbido che mi sono permesso di suonare è stato Ace of Spades dei Motorhead, senza contare che mi hanno interrotto un paio di volte intimandomi di abbassare il volume per cantare i loro cori da stadio e per mettere delle canzoni a base di bouzouki che inneggiavano alla loro squadra, mentre sparavano dei fumogeni e fuochi d'artificio. A un certo punto hanno chiesto gentilmente a una ventina di persone di cambiare lato della nave, ché eravamo inclinati in modo preoccupante. La festa è finita con l'arrivo dell'ambulanza, che uno era andato in OD.

Sono diventato quindi uno che suona per soldi e non per divertimento, uno che suona musica di merda che non piace a lui per primo, uno che non ha un suo stile ma glielo impongono, un juke boxe ma pagato peggio. Capite che la situazione psicologica del vostro "dj di stanza in Grecia preferito" è a terra. L'indomita dignità del dj che fui scalpita confinata in un angolo e a tratti dà dei colpi di coda disperati. In mezzo agli Steppenwolf e i Police, agli Offspring e a Lenny Kravitz (si, lo so brrr) non demordo e ci infilo Black Lips e Let's Wrestle, Lcd Soundsystem e Girls, Pixies e Pavement, Smiths e Gang of 4. Ma ogni tanto se ne accorgono e i capi vengono a lamentarsi. Quindi è una guerra psicologica che ha raggiunto il suo culmine mercoledì scorso.

L'altro capo, che io chiamo gentilmente "faccia di topo sfregiato dal vetriolo" ma si chiama Bàbis (WTF?!) viene e mi fa "Questa non la conoscono, metti roba più conosciuta"
Oppongo flebile resistenza "Ma… ma sono i Clash!"
F.d.t.s.d.v. insiste "Si ma sono sicuro che quelle ragazzine laggiù non la conoscono"
E io spegnendomi dentro "Ma … è il cd del best of dei Clash! I Clash!"
F.d.t.s.d.v. replica impietoso "Scommetti che non la conoscono? Secondo me dovresti fare una playlist di tre quattro ore con solo i pezzi più conosciuti di ogni artista e poi mandarla per due volte, così siamo a posto, copri tutte e otto le ore che suoni e tu non ti affanni tanto a cercare. Tanto i clienti cambiano sempre, chi vuoi che se ne accorga?"

Ho annuito mentre una lacrima rigava la mia gota irsuta. Col cazzo che rimetto lo stesso pezzo in un mio dj set, fosse anche una maratona di venti ore. Poi ho messo Stranded dei Saints e vaffanculo tu e le stracazzo di ragazzine ignoranti che frequentano 'sto posto di merda e non riconoscono nemmeno Clash City Rockers, perlamadonna.

Mi sono posto un limite massimo di cialtroneria. Prima o poi mi chiederanno i Guns and Roses o Bon Jovi e io, per principio, rifuterò a oltranza. Se mi allungano il cd obbligandomi a suonarlo do le dimissioni. Djismo a schiena dritta. O quasi.

Rock this town

April 6th, 2010 | By benty in Senza categoria | 2 Comments »

Kaiadas nights

January 31st, 2010 | By benty in Senza categoria | 3 Comments »

Il Kaiadas (pron. Kiàdas ovvero la Rupe) è il bar dove suono quest’anno, tutti i venerdì e qualche volta pure il sabato. Si trova in centro, a destra di piazza Aristotele, in un quartiere di palazzi antichi dove una volta stavano gli ebrei che, fino a prima della deportazione, a Salonicco erano una comunità molto nutrita, ricca e potente. Quel quartiere fino a tre anni fa contava solo un kafenìo, lo storico Tesseris Epohes (4 stagioni) sorta di bar per anziani e soprattutto giovani anarchici, con birre economiche, musica rebetika e rakì di scarsa qualità. Il resto, tutto attorno, erano edifici mezzi diroccati, vecchi magazzini e piccole manifatture che di notte restavano ovviamente chiuse. Uno dei primi bar a credere in questa zona fu il Kaiadas. Poi lo chiusero, credo per una mezza bancarotta, ma se mi avessero detto che era per questioni igieniche o per droga ci avrei creduto senza battere ciglio.

All’entrata non ci sono insegne, sembra più l’ingresso di un centro sociale. Al primo piano c’è lo Sknipa, bar che alterna reggae e electro, assai di moda tra i nottambuli salonicchesi. Sui muri campeggiano murales e vecchi manifesti strappati di dj set e concerti. Al secondo piano c’è il Kaiadas il bar più scrauso e anacronisticamente anarchico della città. Vi accoglie all’entrata la zona chill out, ovvero un divano che deve aver visto tempi migliori e un flipper scassato. Il Kaiadas è tutto colorato, con motivi mezzi etnici e mezzi no, lucette rosse, macchinine incollate al bancone, grandi finestre, uno xilofono, soffitti alti tre metri, foto ingiallite, vetri pitturati, divani e lampade che sembrano usciti dallo sgombero della soffitta della nonna. Una mezza meraviglia secondo me. Il Kaiadas ce l’hanno Thanassis e Giorgos, due cinquantenni a cui non daresti un soldo di fiducia. Accomunati dalla fede nel Paok (squadra cittadina a tifoseria prevalentemente popolare) hanno messo su una squadra multietnica di cui io sono il tassello più recente. Baristi del Mali, cameriere albanesi e ucraine, tutti rigidamente alternativi (you know what i mean, tatuati, pierce-ati, abbigliati molto anni 90). Io sembro l’unico borghesotto della ballotta, e infatti sto pensando di rispolverare perlomeno le mie ammuffite camicie flanellate.

La clientela del Kaiadas vanta frequentazioni che vanno da una foltissima comunità africana (il barista del Mali sta con la figlia del capo) a strafattoni e personaggi equivoci, soprattutto dopo una certa ora. É un bar che ospita spesso dei concerti, quindi i musicisti circolano allo stato brado. Inoltre fanno capo al locale anche un paio di comunità fortemente connotate. Una di rasta che si riuniscono tutti i mercoledì per il dj set dei Moca Juniors e una di Goth-Medieval-Emo che invece hanno la serata il martedì. Quando si dice un bar eclettico.  Capite che è gente diversa e che spesso tende a mescolarsi, con effetto cromatico e visivo perlomeno interessante. Inoltre il Kaiadas è per antonomasia un bar afterhours, semivuoto almeno fino alle 2, quindi ci capita spesso gente che ha trovato chiusi tutti gli altri locali verso le 5.

Da nemmeno un anno ad oggi sono circa decuplicati i locali del quartiere ebraico. Io stesso, che ci passo davanti tutti i venerdì, non mi ero minimimente accorto che, come i proverbiali funghi, dalla sera alla mattina fossero spuntati decine di bar nuovi, perlopiù simili. Posti da tamarri omologati, gli stessi che si trovano sul lungomare, che pompano a volumi inverosimili musica che si può pacificamente definire di merda. Il Kaiadas è un posto da tamarri alternativi con musica decente, e lo dico perchè parte in causa. Il quartiere dunque è diventato "il nuovo quartiere dei locali" e l’ufficializazione è stata conferita dall’ arrivo della piazzola dei taxi. Ma il Kaiadas tiene botta, che le clientele di quei locali non hanno nulla a che vedere con l’atmosfera che si respira lì dentro, un po’ da oppieria. Che si mischino non c’è rischio.

La prima serata di prova, ormai qualche mese fa, entro nell’ ufficio del capo, Thanassis un omone dai capelli radi, unticci e lunghetti, piuttosto obeso. Questo caratterista da film di Bud Spencer mi accoglie con un generoso cannone in mano e prima ancora di dirmi ciao me lo porge. Dopodichè inizia dei discorsi poco coerenti sul fatto di essere come una famiglia, che lì non si corre dietro alle mode, sul fatto che le banche sono il male e verso il finale credo mi stesse parlando anche dell’importanza del vivere in mezzo alla natura. Cercare alla voce motivational speech sotto botta. Come non volergli bene? Certo, se ci tenesse di più all’igiene personale ne gioverebbe tutto il locale.

L’altro capo, Giorgos, si definisce "un ex eroinamane, ma ora ora pulito", a parte qualche canna, quelche pasticca ogni tanto e un po’ di coca una o due volte al mese. Il suo ruolo nel locale è abbastanza incomprensibile. Fino alle due vaga con gli occhi semichiusi, sempre con gli stessi vestiti lerci, attorniato costantemente da gente losca. Poi scompare. L’unica volta che doveva pagarmi lui, anzichè Thanassis, credo si sia intascato i soldi, che a tutt’oggi non ho ancora visto. Parlarci significa farsi di nuovo ripetere le stesse tre storie sulle sue trasferte tossiche in Italia, negli anni 80. É come parlare col nonno che ha l’Alzheimer, quindi ci ho rinunciato e mi limito e salutarlo. Ieri mi ha salutato due o tre volte, per dire. D’altra parte è anche quello che ha dato gratuita ospitalità (vitto e alloggio) a un ragazzo somalo credo clandestino, Ibrahim, un rasta dall’inglese incomprensibile. Si era sistemato presso i magazzini del locale finchè non ha trovato un tetto sotto cui vivere. Questo spiega abbastanza sulla filosofia anticapitalista del locale (che, lo ricordo, sembra uno squat ma non lo è).

Una volta arrivo un venerdì e trovo la consolle letteralmente devastata, il pavimento ricoperto da cicche, cd rotti, scorze di limone e bucce di pistacchi, il tutto vischiosamente  innaffiato da qualche bicchiere di rum e coperto di cenere. C’era stata la sera prima una festa di tifosi del Paok, ma nessuno si lamentava dei vandalismi, erano tutti tranquilli a pulire.

Ricordo che inizialmente Thanassis per telefono ci tenne a definire lo stile musicale che cercava per il venerdì come "sporco": garage, rockabilly, punk, robe forti, robe da maschi. Dico ok. Una volta osai mettere gli Offspring (era una richiesta abbastanza minacciosa di un cliente alticcio, ma tutto sommato ci poteva anche stare) e a fine serata venni ripreso dal capo, che quella era musica commerciale e da noi non si dovrebbe mettere. Inoltre dopo Natale entrambi i capi mi vollero nel loro studio (con la canna d’ordinanza) a spiegarmi che la mia musica era ok, ma c’era troppo britpop da fichette, e che la gente si voleva divertire, e che era quella lagna, e quindi di fare qualcosa e che però attenzione, loro avevano il massimo rispetto per la libertà di scegliere del dj, figuriamoci, e che mai si sarebbero sognati di interferire con la volontà dell’esperto, che capivano quanto potesse risultare fastidioso, per carità. Ci ripensavo proprio l’altroieri sera, quando Thanassis mi è piombato in consolle e mi ha imposto il best of delle Spice Girls ed è rimasto a guardarmi con la faccia di quello che "Ciccio tu sarai anche un dj ma io la so lunga chetticredi?". 

Bar eclettico, dicevamo. Ieri sera per esempio prima uno mi dà il tormento per due ore che voleva la musica balcanica e invece in quel momento c’era il punk e altri generi poco attinenti alla sua richiesta. Alla fine, stremato, gli ho detto I’m not a Juke Box. Poi un altro ragazzo si è alzato ed è venuto commosso a farmi i complimenti per aver messo Black Lips, Girls e Let’s Wrestle. Gli ho offerto uno sfinnaki*.

*shottino greco

Stella e Ralph (the real Malph)

May 27th, 2009 | By benty in Senza categoria | 2 Comments »

C’era un periodo in cui gli studenti che improvvisamente smettevano di venire a lezione dicevano tutti di aver trovato un lavoro. Tutti. E non si presentavano mai piu’, perche’ erano sempre lavori fuori citta’, in genere lontanissimo. Quest’anno invece vanno molto le operazioni alla vagina, ma per i maschi un po’ meno.

Insomma mi arriva questa che mi deve circa l’80% dei soldi della retta, avendo seguito ben oltre la meta’ delle lezioni. In teoria funziona che tu paghi circa la meta’ all’iscrizione a ottobre, una volta che hai deciso di seguire le lezioni. Pagherai circa la seconda meta’  prima di Natale e il resto (briciole, un centinaio scarso d’euro) a febbraio. Come ogni maggio invece mi ritrovo a perdere ore di telefonate per chiamare i ritardatari. Siamo per il pagamento elastico, c’ e’ la crisi e ci fidiamo. La maggior parte – va detto – paga. Ma questa -Stella – no.

Lo capisco subito, perche’ mi si presenta insieme al ragazzo, anzi al gambros, il fidanzato promesso sposo. Quando si presentano col supporto psicologico si mette sempre male. Lui e’ una specie di Ralph the Malph, pero’ anoressico. Appena lei parla lui conferma. Uno yesman che Bondi e Fede al confronto sono due bastian contrari. Tipo lei dice "Fa caldo" e lui incalza  e prontamente sente l’insopprimibile bisogno di rilanciare "Un caldo incredibile, una cosa insopportabile, guarda come sudo tutto e poi le previsioni dicono che …". Ecco, ci siamo capiti. Ci eravamo sentiti per telefono e avevamo detto che , vabbe’, poiche’ Stella aveva perso tre mesi di lezione le facevamo uno sconto di un centinaio d’euro.  Che imprenditore dal cuore d’oro, mi ero pure complimentato con me stesso. A trovarne !

Sosteneva di aver parlato sia con la sua ormai ex-insegnante che con gli altri ex-compagni di classe della sua serissima operazione ginecologica, versione smentita in seguito da tutti. Mi si presenta dunque oggi, polemicissima, agguerrita e accoppiata. E mi fa: " Ma insomma io non ho mica fatto tutte le lezioni non posso pagare tutti quei soldi". Dico si, ma io ti avevo detto quando e di che ammontare fossero i pagamenti. Non facciamo firmare contratti, e questo ci penalizza, perche’ la gente magari a Natale decide di andarsene e per noi e’ ok. Spiace ma e’ ok. Ma a Natale, non a marzo. Le faccio il classico paragone della salsiccia, che se te la compri la paghi. Poi se la mangi tutta o un pezzo solo saranno pure cazzi tuoi: al macellaio, che nella fine metafora sarei io, basta che la paghi. Che se tutti facessero come lei avrei chiuso da un pezzo baracca e burattini, che l’accordo era chiaro: lei avrebbe dovuto pagare tre mesi fa l’ultima rata e io invece – coglione – non riesco bene nel mio ruolo di mastino spaccadita dammesuord.

Non si molla, si alzano i toni. Arriva ad accusarmi di aver chiuso pure a Natale per due settimane per ferie(siamo praticamente obbligati per legge, come tutte le scuole dell’Ellade). Capisco che Stella e Ralph sono ossi piu’ duri di quello che credevo. Deve aver imparato da Fonzie, quello si che e’ un duro, hey!

Finge di propormi duecento euro e minaccia rossa in volto di infamarmi ovunque, dice che ne ha gia’ parlato con chiunque e che da nessuna parte ha sentito che dovresti pagare per servizi che non ti vengono erogati. Dico di si, ma sono servizi che cionondimeno hai richiesto tu – cretina – , e per i quali vengono approntate risorse. E nemmeno io in 4 anni che ho la scuola ho sentito mai discorsi del genere. Ma d’altronde e’ una specie di guardacostiera pubblica, roba che Brunetta se la magnerebbe con lo sguardo.

Finisce che io dico, senti, guarda, non mi va di litigare oltre. Molla il duecentone e sparisci.

Se ne va con Ralph the Malph e mi dice stizzita, "Allora buon pomeriggio". Alle 8 di sera. E non sono neppure riuscito a dire a Ralph di salutarmi the Fonz, e di stare attento ai conti per il banchetto nuziale, che se poi non mangiava tutto tutto magari poteva chiedere lo sconto su quello che aveva concordato, che di solito funziona proprio cosi’.

Morale della favola: da ottobre scatta il contrattino per tutti e all’indomani delle date di pagamento delle rate  lasceremo come gadget dal gusto tradizionale italiano delle simpatiche teste di cavallo davanti casa, altro che pagamenti eleastici. Mettero’ un annuncio sul giornale per assumere uno spezzadita- addetto al ritiro dei contanti, chi e’ interessato mandi un curriculum.

Frederika Scwartz

March 30th, 2009 | By benty in Senza categoria | 3 Comments »

Qualche settimana fa mi chiama una signora dal greco abbastanza impacciato. Mi dice che ha visto dall’autobus l’insegna della scuola dove c’e’ scritto che noi insegnamo anche portoghese. Lei e’ brasiliana e si dice interessata a eventuali traduzioni, ruoli da interprete, posizioni da accompagnatrice per congressi, convegni, simposi, dibattiti e via dicendo. Io le dico che – guardi – noi al massimo possiamo trovarle forse qualche lezione, ma che per ora non c’e’ lavoro, sa, la crisi … Mi lascia dunque il suo numero di cellulare, fra le poche cose che riesco a capire: sembra confusa, concitata, inizia a parlarmi in portoghese perche’ commetto l’errore di dirle che un po’ lo parlo anch’io (sarebbe stato meglio dire parlavo, ma dubito che avrebbe comunque colto la sfumatura). Insomma, la signora sembra abbastanza sullo svampito andante.

In realta’ il portoghese in Grecia non e’ una di quelle lingue che tirano moltissimo, e sicuramente e’ molto meno richiesta dell’italiano. Per questo noi non abbiamo nemmeno un insegnante fisso, non esistendo classi. Ogni tanto arriva qualche chiamata sporadica, di gente che cerca perlopiu’ lezioni private, che di solito giriamo prontamente alla scuola centrale.

I fatti: venerdi’ ricevo la telefonata di uno che vuole iniziare le lezioni di portoghese e allora mi ricordo della telefonata ricevuta la volta precedente dalla signora strampalata, Frederika Scwartz. Dico al cliente/candidato studente che dovro’ prima contattare l’insegnante e poi fisseremo un appuntamento, quindi convoco stamattina per un colloquio di lavoro Frederika Scwartz. Costei si conferma anche dal vivo una stralunata signora sui sessant’anni, mi si presenta in pelliccia, rossetto e cappellino anni 30. Aveva iniziato a tempestare il mio cellulare di telefonate cinque minuti prima che arrivassi a scuola, indisponendomi abbastanza, perche’ comunque e’ lunedi mattina.

Entriamo e, quasi senza che io chieda nulla, lei inizia a raccontarmi l’avventurosa storia della sua famiglia. Nel farlo passa senza accorgersene dal greco al portoghese all’italiano. Nata da madre italiana e padre greco, si trasferisce con i genitori in Brasile e credo per un periodo anche in Egitto. Infine di nuovo Grecia, dove sposa un greco, che pero’ la lascia presto vedova. Ora vive con la sorella; mi chiede di non obbligarla a fare lezioni private a casa sua, perche’ non vuole mettersi mica degli sconosciuti a casa, ne’ di farla lavorare fino a quando e’ buio perche’ ha paura a prendere l’autobus di notte da sola e non si sa mai chi potresti incontrare. Faccio presente ai gentili lettori che io non ho minimamente accennato alla possibilita’ di nessuno dei due casi. Ma Frederika e’ un fiume in piena ormai. Mi chiede ma questo studente chi sarebbe, che lavoro fa, perche’ vuole imparare il portoghese? Mi parla della sua carriera da artista, dipinti a olio soprattutto e partecipazioni in fiere, congressi, mostre come accompagnatrice, convegni come interprete, simposi come traduttrice. Ha anche lavorato come personal trainer spirituale per chi volesse andare a vivere in Portogallo o Brasile, quando viveva in Austria; si perche’ aveva vissuto anche in Austria, e li’ aveva imparato il tedesco, e inizia a parlarmi seduta stante pure in tedesco. Mi racconta della laurea presa a Sao Paulo, delle lezioni private in cui lei aveva sviluppato dei suoi particolari appunti, che utilizzava con successo. Poi viene fuori che lei qui in Grecia non ha mai fatto lezioni, nemmeno private. Ma crede comunque di poterle fare. "Posso spiegare come si dice tavolo, porta, aeroplano". Inizio a capire. L’unico problema e’,  – mi confessa – , che lei non conosce affatto la terminologia per insegnare la grammatica "Como posso explicar verbo, adverbio, cojugacao em grego?".. Scuoto la testa, tento di spiegare le difficolta’ a collaborare e vedo nei suoi occhi la speranza di un lavoro che si spegne, e mi si stringe il cuore ad accompagnarla alla porta. Lei non insiste oltre, dice che capisce, mi ringrazia comunque dell’opportunita’ e della gentilezza, e mi dice che se dovessero venir fuori congressi, riunioni, simposi, convegni, adunate … Le dico che sicuramente, appena avremo notizie di occasioni simili non esiteremo a chiamarla. Poi ho chiamato il cliente e gli ho detto di rivolgersi al centro, che la nostra insegnante non aveva piu’ ore libere per fare lezione. Poi ho iniziato a sentirmi una merda, anche sapendo d’aver fatto l’unica cosa possibile.

Meglio del Costanzo Show

March 14th, 2009 | By benty in Senza categoria | 4 Comments »

Quest’anno andiamo forte coi casi umani a scuola, quindi eccovene una briosa carrellata

Stefanos "Mission Impossible"

Ha la voce di Bubu, l’amichetto gay dell’orso Yoghi, e una reattività da bradibo in letargo. Fra tre mesi vuole dare l’esame di lingua italiana, e per darvi un’idea del livello di preparazione da cui partiamo, ieri è rimasto basito davanti alla misteriosa parola italiana "Fare". Dice che non l’aveva mai vista. Se passa l’esame sono oggettivamente il miglior insegnante di tutti i tempi e cominceranno a scrivere facts su di me, altro che Chuck Norris.

Despina "Carne di cavallo"

Altro caso interessante dalla voce fumettosa. Lei sembra Paperino quando parla. All’inizio pensavo mi prendesse in giro. Detta "Carne di cavallo" perchè si presentò al ristorante di un ex amico chiedendo, appunto, della carne di cavallo, quando le avevamo consigliato quel posto, sottolineando che facevano solo ed esclusivamente pasta. Immagino basti come indizio sulla brillantezza del personaggio.

Katerina "la latinista", Sofia "L’estremista", Despina "la neofita enusiasta", ovvero le "Desperate housewives"

Katerina è profondamente tecnofoba,  una fan dei "ragazzi che ormai sono tutti zombie davanti ai PC, e  la gente non si incontra più, e la frutta non ha più il sapore di una volta". Ha un volume della voce disumano, è una professoressa di letteratura, insegna anche latino. Non smette di ricordarcelo. Sembra che non riesca a parlare d’altro che del fatto che lei si ammazza di lavoro, fa un master e quindi non trova mica il tempo di studiare l’italiano. Tutto quello che sa d’italiano è dovuto alla sua profonda conoscenza del latino. Quando facciamo delle lezioni private, dice che le sue compagne di classe non capiscono la grammatica perchè non sono laureate, e quindi ignoranti. Quando sono insieme invece son tutte grandi amiche. Credo soffra del fatto che le altre due D.H. abbiano figli e lei invece no. Però sa il latino, ci teneva a dire.

Sofia, sotto un carattere mansueto è in realtà la più Bree Van der Kaamp di tutte. La famiglia e la casa prima di tutto. Ha una fascinazione inspiegabile verso l’Italia. Da giovane ha avuto una lovestory con un nostro connazionale, da cui evidentemente non si è più ripresa. Odia visceralmente immigrati, omosessuali, tossicodipendenti, ma lo dice con una calma e con un sorriso in bocca, che quasi potresti essere d’accordo con lei (leggevamo un testo su Leonardo da Vinci, si parlava della possibilità che fosse gay, Katerina ha detto che "Sono tutti gay i grandi artisti, hanno carisma" Sofia ha alzato gli occhi al cielo mordendosi le labbra, "Carisma ! Ma fattela finita, meglio che sto zitta va", poi Katerina ci ha ricordato che lei sa il latino, comunque). La settimana prossima cominciamo il capitolo sui problemi sociali (droga, criminalità, razzismo) e ci sarà parecchio da divertirsi. L’altro giorno ho sentito che faceva outing politico, per un partito nazionalista e fondamentalista religioso. La settimana scorsa ha offerto dei dolcetti a scuola per festeggiare la buona pagella della figlia per questo semestre. Magnifica di continuo le gesta sportive del figlioletto che gioca a tennis per tutta la Grecia. Ovviamente sono entrambi iscritti a istituti privati costosissimi. Orrore, figli e dolcetti, ecco Sofia. Gestisce un negozio di vestiti per battesimo. Si lo so, nemmeno io credevo esistessero.

Despina riesce a rendere assolutamente privo di interesse qualunque argomento affronti. Pensate che di recente ha scoperto internet. Ecco, lei è la tipa che "Guarda, non puoi capire, ho visto dei video su internet, una roba divertentissima, dammi la mail che te la mando, no devi assolutamente vederli, ma guarda certi video da pisciarsi sotto". Poi ti chiede se hai aperto l’email e ci resta malissimo se rispondi di no.

Di loro si era già parlato

Maria "la fascia"

L’anno scorso ha sostenuto che "Le persone ricche si annoiano, e per questo fanno sesso fra loro, si pervertono, si drogano, diventano gay, e poi utilizzano anche degli animali". Testuale. Mi è sembrata una frase memorabile.

Laura "La psicopatica"

Settimane fa, dopo alcune lezioni in cui era scura in volto, mi esplode rabbiosa, rampognandomi perchè nel corso della correzione degli esercizi, non so più quanti mesi prima, avevo osato dirle che "di questo avevamo già parlato, ricordi?". Lei l’aveva preso come insulto personale, poi era partito un monologo su quanto fosse stressata, facesse un lavoro che non le piaceva, forse doveva trovarsi un uomo. Alla fine dello sfogo abbandonò la classe sostenendo che probabilmente avrebbe lasciato perdere con l’italiano. Il giorno dopo si presentò regolarmente a lezione, sorridente come mai prima, come nulla fosse successo, e senza menzionare l’accaduto. Da allora giro con un coltello  serramanico in borsa.

Aleka "La paziente"

Signorotta della Salonicco bene viene da me una volta a settimana con la scusa dell’imparare la lingua italiana, quando in realtà ha bisogno di uno psicologo. Per metà della lezione mi parla, ovviamente in greco, dei suoi problemi personali col marito che la tratta come una pezza da scarpe, con la figlia che ha pizzicato a rubarle soldi dalla borsa (e per questo aveva licenziato – infamandola  – la filippina che comunque era sospetta), mi spiega la sua insoddisfazione perchè casa sua è di soli 180 metri quadri (nel quartiere più esclusivo della città), e ne vorrebbe invece una vera. Per il resto della lezione parlo io, in italiano, di argomenti a piacere. Mi paga 20 euro all’ora, e ormai mi ha quasi convinto a comprare un lettino reclinabile.

Stefanos e Alexandra "La bella e la bestia"

Uno stranissimo caso di assortimento di coppia. Lei abbastanza carina e di modi eleganti, lui Shreck, ma meno simpatico, fine e intelligente. Li vedi e ti chiedi, mosso dalla curiosità per il creato "Com’è stato possibile?"

Martha "La finta giovane"

Sostiene di avere ventott’anni e forse li ha avuti. Vent’anni fa. Quando lo dice si scatena sempre della grande ilarità.

Nikos "Mezzocervello", Thei "La tronista", Maria "The real blonde", detti "Gli storpi"

Loro sono il grande caso umano collettivo. Tre cervelli così non sarei riuscito a metterli insieme nemmeno se mi fossi sforzato. Il destino a volte compie dei veri capolavori. Sono le persone più stupide e vuote che io abbia mai incontrato, ma messe insieme la somma degli addendi va oltre i singoli elementi e oltre l’immaginabile. Quando dico la parola aggettivo, o articolo determinativo, fanno delle facce che nemmeno se parlassi di fisica quantistica e antimateria. Sono spettacolari, sono ormai l’argomento di discussione preferito a casa nostra.

Nikos si potrebbe anche giustificare. Ha avuto un incidente stradale in cui gli si è mezzo spappolato il cervello. Adesso è solo un po’ lento. Un po’ tanto. Quando va in affanno si blocca e diventa rosso. Se gli chiedi cosa ha fatto il fine settimana risponde tassativamente "Niente". Mi ha chiesto se le preposizioni si possono usare anche quando si parla al passato, il perchè dei colori della bandiera italiana, e che significa Italiano. Maria è irreale per quanto rappresenti lo stereotipo della bionda stupida. Non riesce a parlare che di vestiti e locali alla moda che frequenta, l’unica domanda attinente  all’italiano che  ha fatto in cinque mesi è stata "Quando cominciano in Italia i saldi?". Si rifiuta tassativamente di parlare in italiano. Trova una degna compagna in Thei, fashion victim che credeva di imparare l’italiano in un anno e poi passare allo spagnolo, che vuole imparare l’italiano per andare a fare acquisti a Milano. L’argomento dominante in questa classe sono spinning e stivali. In Grecia la crisi se c’è, non li riguarda.

Vota i tuoi casi umani preferiti! Presto disponibili anche le Action figures!

Per la stesura di questo post non sono stati maltrattati studenti, non si sono utilizzati minorenni, ogni riferimento a fatti o persone reali è tassativamente possibile.

Sarai nights: perchè il viale del tramonto si percorre a piedi nudi

February 15th, 2009 | By benty in Senza categoria | 10 Comments »

Hortiati è un villaggio anonimo a mezz’oretta da Salonicco. In mezzo alla cui piazza centrale c’è un bar assai velleitario e francamente terrificante, che si chiama Sarai. Sull’origine del nome devo ancora indagare. Questo bar è stato rilevato da un gruppo di amici, che l’hanno inusitatamente innalzato al rango di "art cafè", così recitano anche gli orrendi portachiavi che non vengono lesinati a clientela e personale.

I ragazzi in questione me li immagino in pieno brainstorming, concentratissimi a partorire raffiche di ideone per la direzione artistica del nuovo locale.
 
"Hey, qui abbiamo bisogno di un qualcosa che suoni più cittadino, urbano, metropolitano, cosmpolita"
"Sisi, dai, sprovincializziamoci"
"Ma certo diamoci un chiaro taglio internazionale"
"internazionale e alternativo"
"alternativo e indipendente"
"indipendente e artsy"
"ecco, direi allora che il karaoke è ciò che ci vuole"
"indubbiamente"
"su questo non ci piove"
"tutti d’accordo: e poi cos’altro?"
"Beh senz’altro la pagina facebook"
"quella c’è già!"
"ok allora siamo modernissimi"
"decisamente un sacco avanti"
"di più, ragazzi, dobbiamo fare qualcosa di più"
"che ne dite della serata in maschera a tema ?!"
"genio!"
"grande!"
"mito!"
"anche se non è ancora carnevale?"
"sisi"
"si ok, ma non basta"
"occorre rischiare, ci vuole la musica dei ggiovani di tendenza, roba cool"
"diamoci un tocco d’esotismo"
"si, ma ordiniamo dell’altro ouzo, che la prima boccia l’abbiamo già schiantata"

Immagino che la decisione di ingaggiarmi come dj per il venerdì sera, sia maturata così, in questo clima immerso nell’alcol. Gente inconsapevole di ciò che avrei suonato, pronta a farmi fuori alle prime lamentele dei clienti-habituè-buzzurri, che però, per ora mi stende tappeti rossi, anche perchè un italiano che suona musica abbastanza insolita per quelle latitudini, in un paesetto di 5000 persone, fa abbastanza figo. Fascino e mistero del relativismo. Mi fanno sentire davvero una superstardj. Roba che non mi sono mai sentito così coccolato e vezzeggiato da nessuno staff dei posti dove ho suonato. Tanto che ho già cominciato a fare i capricci, per darmi una credibilità da primadonna, annullando su due piedi la seconda serata perchè (recito testualmente) "Devo andare a vedere i Tindersticks". E loro accondiscendentissimi, a dirmi che non c’erano problemi, di non preoccuparmi e di divertirmi pure al concerto.

Mi hanno contattato tramite un’amica comune, mi hanno invitato a suonare venerdì scorso (c’era più gente di quella che vedevo in media un martedì all’Ekkentron, un venerdì al Kika o un sabato al Pulp, che è tutto dire). La proposta iniziale prevedeva sia venerdì che sabato, soluzione che mi avrebbe permesso di incassare un bel gruzzolo e un prematuro divorzio. Quindi ho optato per la più ragionevole soluzione del solo venerdì. Mi hanno esaminato scrupolosamente il curriculum, chiedendomi dove avevo suonato, che generi prediligevo e poi le solite domande sul perchè e percome sto in Grecia, per rispondere alle quali mi avvalgo in genere di un comodo modulo FAQ prestampato. Non suonando dall’anno scorso (se si eccettua la felice parentesi fabrianese di capodanno dove ho fatto ballare un migliaio di persone e poi la solita tappa alcolica al circoletto dove abbiamo fomentato le folle io, Santos e redrhum) ci avevo una voglia di smanettare su una consolle che lèvati. Dunque finite le chiacchiere, e dando probabilmente un’ impressione di stakanovismo malato, mi sono gettato sbavando a studiare mixer, lettori e quant’altro.

Noto subito che si tratta di un equipaggiamento scadente e che l’infelice disolcazione di lettori e mixer mi costringe a delle torsioni che manco una Nadia Comaneci alle olimpiadi dell’80. E per finire, piccolo dettaglio, mancavano le cuffie. Spiego che difficilmente potrò metter dischi senza cuffie. Scatta rapida l’organizzazione: non ti preoccupare dj, ora rimediamo, fra un po’ inizi, vedrai che esiste una soluzione. Parte un rapido giro di telefonate, gli sguardi di corrucciano, poi l’epilogo più ovvio: siamo a Hortiati e non ci sono in paese altre cuffie. Quindi, lasciando probabilmente un’impressione di disperato ingrifamento, mi offro – con grande spirito di sacrificio – di tornare io a casa a prenderle (e salta così un’ora abbondante di dj-set e 10 euro di benzina).

Comincio la serata dunque trafelato, in maniera musicalmente brusca. Come anche altrove la gente non sembra curarsi particolarmente della mia presenza, nè apprezzando nè lamentandosi. Dopo un po’ giungono un paio di richieste abbastanza a tema (Violent Femmes), un paio meno a tema, ma abbastanza stupefacenti, da uno dei capi (Bambole di Pezza e Banda Bassotti! A Hortiati !), oltre a un paio che in altri contesti avrebbero portato alla decapitazione immediata con calcio rotante del richiedente (Should I stay or Should I go, Losing my religion e I can’t get no satisfaction: per il capitolo rock a Hortiati nell’anno del Signore 2009) ma che cionondimeno, visto che siamo al debutto e occorre farsi volere almeno un po’ di bene, accontento ruffianissimamente. Inoltre vista l’insistenza, sicuramente dettata da gentilezza, con cui continuavano a chiedermi di passare roba italiana, mi sono anche concesso il lusso di uno Spara Juri e di un Vinicio che canta Celentano, a un certo punto, riscuotendo sorrisi plasticosi da chi si attendeva più probabilmente una Raffaella Carrà d’annata.
 
A fine serata vengo trascinato in un bar parecchio equivoco, abbastanza nascosto, con musica orrenda, dove uno dei capi, mio diretto referente, mi ha fatto un sacco di complimenti, mi ha spiegato che, anche se non si vedeva, la gente s’era parecchio divertita, e che tutto il consesso dei capi sarebbe stato contentissimo di avermi a mischiare dischi tutti i venerdì.

A quel punto, o forse un po’ prima, mi sono visto come un Signori o un Batistuta a fine carriera. Dopo che hai finito il periodo d’oro, delle grandi squadre prestigiose, dei successi, dei goal e delle prime pagine, si emigra al caldo degli Emirati per svernare, giocando gli ultimi anni in campionati farsa, dove si possono mostrare, come delle foche, i colpi migliori, senza reali competizioni, con una blanda nostalgia dei fasti antichi, esibendosi per un pubblico a cui del calcio magari interessa anche poco. O ancora miglior metafora, vista la mancanza dello stipendio d’oro nel mio caso, sarebbe quella di quei calciatori che non vogliono smettere, che non ci stanno ad appendere gli scarpini al chiodo, e si divertono anche nelle serie minori, lontano dalle luci della ribalta. Perchè quello che ti spinge forse è la passione, la voglia di continuare comunque a fare quello che più ti piace, a prescindere o quasi da dove si fa e per chi lo si fa. Perchè lo si fa per sè stessi e basta alla fine, ecco perchè.

E dunque ho accettato, ci mancherebbe altro