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Kaiadas nights

January 31st, 2010 | By benty in Senza categoria | 3 Comments »

Il Kaiadas (pron. Kiàdas ovvero la Rupe) è il bar dove suono quest’anno, tutti i venerdì e qualche volta pure il sabato. Si trova in centro, a destra di piazza Aristotele, in un quartiere di palazzi antichi dove una volta stavano gli ebrei che, fino a prima della deportazione, a Salonicco erano una comunità molto nutrita, ricca e potente. Quel quartiere fino a tre anni fa contava solo un kafenìo, lo storico Tesseris Epohes (4 stagioni) sorta di bar per anziani e soprattutto giovani anarchici, con birre economiche, musica rebetika e rakì di scarsa qualità. Il resto, tutto attorno, erano edifici mezzi diroccati, vecchi magazzini e piccole manifatture che di notte restavano ovviamente chiuse. Uno dei primi bar a credere in questa zona fu il Kaiadas. Poi lo chiusero, credo per una mezza bancarotta, ma se mi avessero detto che era per questioni igieniche o per droga ci avrei creduto senza battere ciglio.

All’entrata non ci sono insegne, sembra più l’ingresso di un centro sociale. Al primo piano c’è lo Sknipa, bar che alterna reggae e electro, assai di moda tra i nottambuli salonicchesi. Sui muri campeggiano murales e vecchi manifesti strappati di dj set e concerti. Al secondo piano c’è il Kaiadas il bar più scrauso e anacronisticamente anarchico della città. Vi accoglie all’entrata la zona chill out, ovvero un divano che deve aver visto tempi migliori e un flipper scassato. Il Kaiadas è tutto colorato, con motivi mezzi etnici e mezzi no, lucette rosse, macchinine incollate al bancone, grandi finestre, uno xilofono, soffitti alti tre metri, foto ingiallite, vetri pitturati, divani e lampade che sembrano usciti dallo sgombero della soffitta della nonna. Una mezza meraviglia secondo me. Il Kaiadas ce l’hanno Thanassis e Giorgos, due cinquantenni a cui non daresti un soldo di fiducia. Accomunati dalla fede nel Paok (squadra cittadina a tifoseria prevalentemente popolare) hanno messo su una squadra multietnica di cui io sono il tassello più recente. Baristi del Mali, cameriere albanesi e ucraine, tutti rigidamente alternativi (you know what i mean, tatuati, pierce-ati, abbigliati molto anni 90). Io sembro l’unico borghesotto della ballotta, e infatti sto pensando di rispolverare perlomeno le mie ammuffite camicie flanellate.

La clientela del Kaiadas vanta frequentazioni che vanno da una foltissima comunità africana (il barista del Mali sta con la figlia del capo) a strafattoni e personaggi equivoci, soprattutto dopo una certa ora. É un bar che ospita spesso dei concerti, quindi i musicisti circolano allo stato brado. Inoltre fanno capo al locale anche un paio di comunità fortemente connotate. Una di rasta che si riuniscono tutti i mercoledì per il dj set dei Moca Juniors e una di Goth-Medieval-Emo che invece hanno la serata il martedì. Quando si dice un bar eclettico.  Capite che è gente diversa e che spesso tende a mescolarsi, con effetto cromatico e visivo perlomeno interessante. Inoltre il Kaiadas è per antonomasia un bar afterhours, semivuoto almeno fino alle 2, quindi ci capita spesso gente che ha trovato chiusi tutti gli altri locali verso le 5.

Da nemmeno un anno ad oggi sono circa decuplicati i locali del quartiere ebraico. Io stesso, che ci passo davanti tutti i venerdì, non mi ero minimimente accorto che, come i proverbiali funghi, dalla sera alla mattina fossero spuntati decine di bar nuovi, perlopiù simili. Posti da tamarri omologati, gli stessi che si trovano sul lungomare, che pompano a volumi inverosimili musica che si può pacificamente definire di merda. Il Kaiadas è un posto da tamarri alternativi con musica decente, e lo dico perchè parte in causa. Il quartiere dunque è diventato "il nuovo quartiere dei locali" e l’ufficializazione è stata conferita dall’ arrivo della piazzola dei taxi. Ma il Kaiadas tiene botta, che le clientele di quei locali non hanno nulla a che vedere con l’atmosfera che si respira lì dentro, un po’ da oppieria. Che si mischino non c’è rischio.

La prima serata di prova, ormai qualche mese fa, entro nell’ ufficio del capo, Thanassis un omone dai capelli radi, unticci e lunghetti, piuttosto obeso. Questo caratterista da film di Bud Spencer mi accoglie con un generoso cannone in mano e prima ancora di dirmi ciao me lo porge. Dopodichè inizia dei discorsi poco coerenti sul fatto di essere come una famiglia, che lì non si corre dietro alle mode, sul fatto che le banche sono il male e verso il finale credo mi stesse parlando anche dell’importanza del vivere in mezzo alla natura. Cercare alla voce motivational speech sotto botta. Come non volergli bene? Certo, se ci tenesse di più all’igiene personale ne gioverebbe tutto il locale.

L’altro capo, Giorgos, si definisce "un ex eroinamane, ma ora ora pulito", a parte qualche canna, quelche pasticca ogni tanto e un po’ di coca una o due volte al mese. Il suo ruolo nel locale è abbastanza incomprensibile. Fino alle due vaga con gli occhi semichiusi, sempre con gli stessi vestiti lerci, attorniato costantemente da gente losca. Poi scompare. L’unica volta che doveva pagarmi lui, anzichè Thanassis, credo si sia intascato i soldi, che a tutt’oggi non ho ancora visto. Parlarci significa farsi di nuovo ripetere le stesse tre storie sulle sue trasferte tossiche in Italia, negli anni 80. É come parlare col nonno che ha l’Alzheimer, quindi ci ho rinunciato e mi limito e salutarlo. Ieri mi ha salutato due o tre volte, per dire. D’altra parte è anche quello che ha dato gratuita ospitalità (vitto e alloggio) a un ragazzo somalo credo clandestino, Ibrahim, un rasta dall’inglese incomprensibile. Si era sistemato presso i magazzini del locale finchè non ha trovato un tetto sotto cui vivere. Questo spiega abbastanza sulla filosofia anticapitalista del locale (che, lo ricordo, sembra uno squat ma non lo è).

Una volta arrivo un venerdì e trovo la consolle letteralmente devastata, il pavimento ricoperto da cicche, cd rotti, scorze di limone e bucce di pistacchi, il tutto vischiosamente  innaffiato da qualche bicchiere di rum e coperto di cenere. C’era stata la sera prima una festa di tifosi del Paok, ma nessuno si lamentava dei vandalismi, erano tutti tranquilli a pulire.

Ricordo che inizialmente Thanassis per telefono ci tenne a definire lo stile musicale che cercava per il venerdì come "sporco": garage, rockabilly, punk, robe forti, robe da maschi. Dico ok. Una volta osai mettere gli Offspring (era una richiesta abbastanza minacciosa di un cliente alticcio, ma tutto sommato ci poteva anche stare) e a fine serata venni ripreso dal capo, che quella era musica commerciale e da noi non si dovrebbe mettere. Inoltre dopo Natale entrambi i capi mi vollero nel loro studio (con la canna d’ordinanza) a spiegarmi che la mia musica era ok, ma c’era troppo britpop da fichette, e che la gente si voleva divertire, e che era quella lagna, e quindi di fare qualcosa e che però attenzione, loro avevano il massimo rispetto per la libertà di scegliere del dj, figuriamoci, e che mai si sarebbero sognati di interferire con la volontà dell’esperto, che capivano quanto potesse risultare fastidioso, per carità. Ci ripensavo proprio l’altroieri sera, quando Thanassis mi è piombato in consolle e mi ha imposto il best of delle Spice Girls ed è rimasto a guardarmi con la faccia di quello che "Ciccio tu sarai anche un dj ma io la so lunga chetticredi?". 

Bar eclettico, dicevamo. Ieri sera per esempio prima uno mi dà il tormento per due ore che voleva la musica balcanica e invece in quel momento c’era il punk e altri generi poco attinenti alla sua richiesta. Alla fine, stremato, gli ho detto I’m not a Juke Box. Poi un altro ragazzo si è alzato ed è venuto commosso a farmi i complimenti per aver messo Black Lips, Girls e Let’s Wrestle. Gli ho offerto uno sfinnaki*.

*shottino greco