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Kika’s Nights

January 29th, 2006 | By benty in Senza categoria | 9 Comments »

Il Kika è piccolino, e un giorno magari vi posto anche una foto. Credo che 50-60 persone sia la capienza massima, oltre cui si può ufficialmente parlare di calca. C’è una mini-strobo al soffitto, e una parete è dipinta in stile pseudosurrealista, con un cielo azzurrissimo in cui fra le nuvole si rincorrono rotoli di carta igienica e lische di pesce. L’autore credo stia scontando il resto dei suoi giorni in un centro di riabilitazione. E’ un posto secondo me accogliente, più colorato degli altri bar, volutamente kitsch. Si trova al piano terra è ha il raro coraggio di una finestra che dà sulla strada, da cui la gente osserva quante persone ci sono dentro, ed eventualmente sceglie di entrare. Il bancone è così piccolo che le mie due borse dei cd sopra non ci stanno, sono costretto a metterle su uno scaffale che si trova in basso e quindi ad esibirmi per tutta la serata in un su e giù snervante. In genere finisco alle sei strisciando in ginocchio, e la mattina dopo mi svegliano i crampi. Però adesso ci ho due polpacci che nemmeno Sebino Nela. La clientela è divisibile in categorie e sottocategorie che, per la rubrica "Salonicco da bere", andiamo volentieri ad illustrare

Le piccioncine

Una coppia di fedelissime clienti, spesso te le ritrovi in apertura di serata ad ascoltare Death in Vegas e Peaches, spesso in chiusura quando esigono Jolene degli White Stripes, Drugs don’t work dei Verve o qualunque cosa dei Velvet Underground mentre si scambiano effusioni. Ieri dopo aver soddisfatto la richiesta di Pulp e James una di loro mia ha detto "S’agapò". Adorabili.

Gli anarchici

Gli anarchici arrivano tardi, sono clienti storici del locale, non mi hanno particolarmente in simpatia (prima ci lavorava un amico loro il sabato), a stento mi salutano, sono sempre assorti in discussioni fittissime che immagino di basilare importanza per le sorti umane e progressive. Tutto quello che sanno dirmi è "Metti i Ramones", poi però non ballano, a meno di ubriachezze ragguardevoli. Fra di loro si annoverano pure i rivali, dj designati a suonare negli altri giorni della settimana, quelli che godono ad ogni passaggio sbagliato o ad ogni volta che il cdj non ti legge il disco. Malvagi.

Gli amici

Gente che da tre anni insiste a seguirmi nei bar più malfamati della città, gente a cui credo di dovere dei soldi. Si riscontrano, all’interno di tale gruppo, varie sottocategorie fra cui gli esperti (vedi sotto), i nostaglici anglofili, che li fai contenti soltanto con gli Inspiral Carpets e gli Stone Roses, quelli che "Io e te siamo i due migliori dj della città", quelli che "Oh, ma i Clap Your hands say yeah ce l’hai? E gli Arcade fire quando li metti eh? E degli Unbelievable Cazzons hai ascoltato niente?". Quelli che non se ne vanno finchè non metti i Tindersticks, e tu, ovviamente tergiversi. Fra di loro anche Andrea. Sempre al mio fianco. Impagabili.

Gli studenti

Questa invece è gente che mi deve dei soldi. Si sentono forse moralmente obbligati a passare dal bar, e a dire il vero non capisco perchè, visto che non ci sono voti in ballo da dare a scuola. In particolare ce ne sono un paio preoccupantemente insistenti. Prima o poi ci passano tutti, ma in genere non vi fanno ritorno, che Kalamarià non è una zona popolata da ascoltatori dei Sonic Youth e finiscono nell’ultima categoria, quella dei raccapricciati. Doppiogiochisti.

I random

I random o ce li trascina qualcuno, o guardano dalla finestra, si incuriosiscono e entrano. In genere non restano che per un drink, rappresentano una categoria residuale. Immagino che per la maggior parte sia gente che non ha trovato posto nei bar più rinomati della città, che si trovano tutti nei paraggi. Fodamentalmente scontenti, a parte rare eccezioni. Si lanciano occhiate del tipo "Dove cazzo siamo finiti?". Maggioritari.

I clienti storici

Si annoverano Dimos, un fastidioso personaggio che se non gli metto la canzone che vuole inizia a cantarne il ritornello sopra ogni altro pezzo che passo a squarciagola. Questo mese è il turno di "Everyday i love you less and less", meglio conosciuta dal tipo in questione come "Unless, unless, unless". Il dramma è che tende all’ubriachezza e all’oblio, quindi per amor di patria mi trovo costretto a metterla anche due volte, che la prima se l’è persa, e potrebbe continuare così per il resto della notte.

Periklis, almeno credo. Uno che non mi ha mai rivolto la parola, viene da solo, sta anche tre ore a banco senza aprir bocca, ogni tanto il capo si muove a compassione e gli fa compagnia. Ieri l’ho visto che tamburellava le dita e a occhi bassi canticchiava gli Smiths, e mi sono commosso.

Kostas, un uomo inquietante, una versione rovinata dall’alcol del Jack Nicholson di Shining. Arriva tardi, già a pezzi, si trascina personaggi misteriosi dietro. Con lui basta poco: Buzzcocks – Ever fallen in love, Undertones – Teenage Kicks, Clash – I fought the law e te lo sei già conquistato. Una volta mi ha chiesto: tu credi di conoscere te stesso, ma invece hai paura. Ho salutato lui e gli omini in camice che lo portavano via. Irrinunciabili.

I gggiovani

I ggiovani arrivano presto, in genere si strafanno di cocacole e cioccolate calde mentre limonano felici. Assolutamente impermeabili agli stimoli musicali. In genere li uso da cavie, sottoponendoli a 10 minuti di Marquee Moon, o ai My Bloody Valentine, così per vedere l’effetto che fa. Una volta uno ha ordinato uno shottino di ginlemon, suscitando l’ilarità generale. Gli hanno dato un tè e un buffetto. Impresentabili.

Gli anziani

Agli anziani non è che puoi mettergli gli Arctic Monkeys. Quelli mi si imbizzarriscono. Occorre blandirli con Tuxedo Moon, Bauhaus, Stranglers. O ancora indietro, Lou Reed, Bowie, Iggy pop. Se sono di buonumore quando passo al momento garage li vedi che ondeggiano su My Baby she’s gone dei Creeps, e quando tocca ai Sonics sarebbero lì lì per ballare. A volte gli anziani sono della categoria random, e allora bisogna andarci più delicati. Nonostante il rischio di slittamento del toupè, annuiscono convinti su qualunque pezzo datato pre-90. Inossidabili.

Gli amici del capo

Sapete che il mio capo è leader dei tremendi Grovers: il bar è quindi frequentato da una pletora di suonatori, fan, musicisti e personaggi a vario titolo equivoci. Gente più vicina ai cinquanta che ai trenta. C’è la celebre cricca del "garage", che di tanto in tanto si impossessa del locale e anche dei piatti facendo valere la legge del più forte: ti porto 40 clienti. Digli di no. Imbattibili.

Gli entusiasti

Ad ora se ne contano tre. Uno è il barista, gli altri due sono passati una volta e mai più visti. Quindi forse andrebbero categorizzati come gli alticci. Il barista, Mitsios, ha le sue fisse che in genere soddisfo prima che inizi a spaccarmi i maroni coi faith No More. Zounds (Demystification), Dogs die in hot car (I love you cuz i have to), Stereolab (French Disco), President of U.S.A. (Lump). Comunque non gli basta, ed ogni volta decide una canzone che si sceglie personalmente dai cd in dotazione al locale. Ieri sera mi ha imposto le Veruca Salt, e mi ha dato occasione per risvegliare il ragazzo degli anni 90 che era in me. Gli devo però la scoperta degli Stems. Il secondo entusiasta è uno che ha esultato continuativamente per 6 o 7 pezzi dimenandosi, sbraitando per l’incredulità e mettendosi le mani fra i capelli ad ogni passaggio (roba facile: Blur, Supergrass, Happy Mondays, Cure…). Mi hanno costretto a mettere Raffaella Carrà per farlo smettere. L’altro avventore entusiasta è restato assolutamente galvanizzato dalla mia scelta della versione di Surfin Bird dei Trashmen e non dei Ramones. Mi ha detto "Tu sei Dio".  Basta poco, che ce vo’?

I raccapricciati

Gente che dopo una fugace apparizione ha giurato di non mettere mai più piede in quel posto arredato in maniera imbarazzante, dove si ascolta musica di merda, e frequentato da figuri loschi. Ineluttabili.

A parte quello che ho scritto metto anche bella musica, ogni tanto.

John Cale a Salonicco. Una prece

January 21st, 2006 | By benty in Senza categoria | 9 Comments »

Non ho mai visto dal vivo i Nirvana, ma anni fa ebbi l’occasione di vedere su un palco Dave Grohl e i suoi perlopiù inutili Foo Fighters. Non ho mai visto dal vivo gli Husker Du, ma ieri sera ho visto Bob Mould, parecchio appesantito. Ha aperto il concerto di John Cale ieri sera al Mylos Apothiki. Da solo armato delle sue chitarre, elettriche e semiacustiche, ha mostrato classe e grinta, chiudendo il suo breve showcase con Make no sense at all. Dignità roccherolle, un bel modo di invecchiare per l’ex capoccia di un gruppo "seminale" come dicono quelli bravi.

Non ho mai visto i Velvet Underground, ma ho visto un paio di volte Lou Reed: una anni fa a Roma, a Enzimi, poco convincente. L’altra nel 2004 a Benicassim, eccellente: un grande Reed, fra classsici dei Velvet Underground riarrangiati, rumori bianchi, e soprattutto stile, stile, stile. E ieri sera ero convinto di vedere l’altra metà dell’anima velvettiana, quella tosta, John Cale. Ammetto che della carriera solistica di Cale non conoscevo nulla e ho commesso l’errore madornale di crearmi delle aspettative conformi alle produzioni dei VU. Mi immaginavo pezzi difficili, lunghi, viole straziate, musiche che richiedono concentrazione, roba da intellettuali insomma. Cale era quello uscito dal conservatorio il musicologo, mi dicevo. Quello che ha inoculato la vena avanguardistica, abrasiva e sperimentale nei Velvet, la viola – strumento classico – nel caos sonoro chitarristico, nella depravazione musicale urbana.  Il compositore timido,  e represso, l’incompreso, il reietto. Cale ha lavorato come produttore con Nick Drake, Patti Smith e Iggy Pop. Cage per dirla alla LCD soundsystem, non solo "was there" quando c’era la Factory di Warhol, Cale "was it". Insomma ero pronto ad approcciare un mito, uno che ha avuto un impatto sulla storia della musica moderna la cui portata capiremo forse fra qualche anno, ero la deferenza personificata, avevo tutte le migliori intenzioni. Ero emozionato e pronto.

L’arrivo al Mylos mi inquieta: c’è gente che fuma per le scale, qualcosa non va. Si viene a sapere poi anche dal palco che Mr Cale non gradisce che si fumi ai suoi concerti. I greci, popolo indisciplinato come pochi altri, lo ascoltano. Il rispetto per la figura è tale da sortire effetti che nemmeno multe potrebbero ambire ad ottenere. Però ci pensi alle interviste che hai letto, alle droghe di ogni tipo che alimentavano la macchina Velvet Underground, ma dici fra te e te, vabbè, ne è passato di tempo. Poi ci avvisano anche che Mr Cale,  lo stesso provocatore che decapitava polli sul palco, non gradisce i flash delle macchinette fotografiche. Di nuovo ci si interroga, ma ci si ripete come un mantra "Oh ma è John Cale, fanculo le sigarette e pure i flash".

Poi entra in scena. Si tratta di una fotocopia sciatta e ingrassata di Dustin Hoffmann, non ci piove. Ma imbraccia la viola e comincia a suonare e cantare Venus in Furs, si poteva iniziare meglio?

Si nota la gradevole presenza di un omino dotato di torcia, a fianco delle casse, che controlla il pubblico in cerca di qualcuno che fumi o rubi immagini con macchinette fotografiche o videocamere. Chi viene sorpreso in flagranza di reato viene puntato con la luce, rimproverato e additato al ludibrio davanti a tutti gli altri bambini spettatori. Converrete che non è proprio il genere di situazioni che ti fanno concentrare su un concerto a cui tenevi,e che ti aspettavi denso e intenso.

"Fortunatamente" non è che poi ci fossero ‘ste grandi atmosfere fitte a cui stare attenti e da cui lasciarsi trascinare. Oltre a Cale, che si destreggerà fra tastiere e chitarre (senza più toccare la viola) la band è composta da tre ragazzetti: un chitarrista con delle orecchie assolutamente spropositate, un bassista ricciolino, tipo attore di film porno tedesco anni 80, e un batterista negro, fichissimo e bravissimo. Dopo il primo brano, relativamente fedele all’originale, inanellano una serie di pezzi che è fin troppo facile etichettare come del tremendo hard rock. Aspetto in ogni momento che salti fuori Ritchie Blackmore a farci Smoke on the water. Una musica dozzinale, tamarra, banale, noiosa (tipo Sold Motel dall’ultimo Black Acetate).

Immediatamente al secondo pezzo Mr Cale si spazientisce, perchè aveva chiesto all’omino delle luci di spegnerne una che gli dava fastidio agli occhietti. La cosa non è avvenuta esattamente come desiderava, e lui, senza smettere di suonare, ha iniziato a intercalare con "Turn the fucking light off" e gesti scomposti la sua esecuzione, fra un chorus e un verse. O forse era davvero un verso della canzone e i gesti una coreografia minimalista. Comunque.

Il quinto pezzo è il lento e crudele omicidio di Femme fatale ("a couple of old songs rearranged", ci presenta Mr. Cale ilare). Ed è lì che finisce il mio concerto. La mia anima si dissocia dal mio corpo ed esce infastidita dal locale, anche se fisicamente resto lì ad amareggiarmi ancora e a far arredamento. Mi viene in mente che come occorrerebbe togliere la patente ai vecchietti dopo una certa età, per non farli andare in giro a far danni, così occorrerebbe fare coi musicisti in età da Alzheimer. Togliergli la possibilità di rovinare i loro stessi brani, evitando che deturpino bellezze musicali che hanno partorito in gioventù, oltre che le belle memorie o le belle cose che si sanno su di loro. Peggiora tutto Perfect, poppettino radiofriendly insulso, che credo sia addirittura il singolo. Non aiuta nemmeno la discreta Gravel con chitarra acustica, proposta in occasione delle striminzito (grazieaddio) bis. Verso la fine, prima di iniziare un pezzo, Mr. Cale a braccia conserte scruta fisso uno spettatore reo di fargli foto col cellulare. Poi gli chiede "What the fuck are you doing?", poi gli dice "Fuck you". La gente nemmeno fischia, perchè il locale, nel frattempo s’è mezzo svuotato. La ciliegina sulla torta direi. Prima di andare via fa ancora in tempo a lamentarsi del caldo che fa sul palco. Considero che con i soliti stracazzo di tenta euri mi sono visto Cale, un pezzo enorme di storia della musica, un mentore dall’influenza incalcolabile per una marea di band dagli anni 70 in poi. Il quale è incidentalmente un nonnetto indisponente, maleducato, insofferente e capriccioso. E come se non bastasse suona musica di merda in una una cover band dei Deep Purple. Cale ebbe a dichiarare riguardo ai VU "Il nostro scopo era mettere a disagio gli spettatori, farli sentire fuori posto, farli vomitare". Ancora una volta missione compiuta Mr. Cale. Il provocatore, ha vinto di nuovo. Me ne vado dal Mylos irritato e scontroso. Aridatece gli Steppenwolf.

(Veronica, perdono)

Five Star Hotel

January 14th, 2006 | By benty in Senza categoria | 6 Comments »

Il primo concerto della stagione 2006 mi vede di fronte a un gruppo greco che canta in inglese, i Five Stars Hotel. Nome del cacchio, ne convengo, e temo pure non grammaticalmente ineccepibile. Sono in piedi da qualche anno, hanno fatto da support ai Six by Seven e alle Electrelane qui a Salonicco, i loro pezzi passano nelle radio dedite a del buon indie-pop-rock, quindi non è che siano gli ultimi arrivati. I componenti hanno suonato in passato in svariate altre formazioni cittadine, anche relativamente di successo (Morà sti fotià) non sono musicisti di primo pelo, l’età media è sulla trentina. Non hanno ancora all’attivo nessun album, ma vari ep. L’ultimo è stato presentato ieri, con uno show-case presso lo Xilurgeio (vi hanno suonato fra gli altri Arab Strap e Giardini di Mirò). Mi avevano fatto una buona impressione nei sei o sette pezzi suonati prima delle mie beniamine, e quindi ho deciso di tornare a vederli appositamente ieri sera.

Si compongono di cantante frangettato, decisamente dedito alle birre a giudicare dal ventre prominente che stona con una corporatura media. E notoriamente le magliette a righe orizzontali non sfinano. Egli si cimenta alle tastiere, e al tamborine, con fare assai svogliato e giacca appena spillettata. Occorre ammettere che ha una gran voce, e una pronuncia inglese assolutamente impeccabile. Ogni tanto indulge in dei gorgheggi parecchio morrisseyani, troppo riconoscibili per passare inosservati. Poi c’è il chitarrista, fuma come un camino, suda come un cammello. La presenza del suo strumento è discreta, non strafà, nè con gli assolo nè con i  volumi, il suo lavoro lo fa bene, e nei tre quattro pezzi in cui c’è da farsi sentire si sente; il ruolo rispetto alle keyboards è nettamente secondario insomma, ma ben assolto. Poi c’è il synth a sinistra, suonato da un biondino magro, dinoccolato e ciuffoso, spesso impegnato come seconda voce e a spennellare il tutto con dei tocchi di elettronica null’affatto invadenti. Poi da qualche parte ci doveva essere il bassista, ma io l’ho solo sentito, perchè probabilmente si celava dietro la mole del cantante, gran macinatore di giri semplici e parecchio "catchy". Insieme all’ottima batteria direi che pestano il giusto, i pezzi partono quasi sempre dalla sezione ritmica. Riascoltandoli mi accorgo che hanno un certo qual tiro, con almeno la metà dei brani che potrebbero candidarsi tranquillamente al dancefloor, visto che ultimamente nel mondo si balla pure il roccherolle; in precedenza mi era sfuggito questo dettaglio della ballabilità, ma poi a ripensarci qui in Grecia non si balla affatto il roccherolle, quindi non è che li aiuterà a vendere più copie.

Veniamo alla musica. I FSH suonano un pop di stampo chiaramente britannico, debitore tanto ai Pulp e ai New Order almeno quanto agli Smiths. La presenza delle due tastiere spesso tira in causa gli Stereolab (anche quelli di French Disco, ma non solo) di cui campeggiano anche adesivi sugli strumenti. Le melodie non sono affatto banali, i ritornelli si lasciano canticchiare, i testi non puntano troppo in alto ma non sembrano neanche delle porcate invereconde, il tutto avvolto in tinte piuttosto malinconiche e scure, senza sconfinare però nel goth. Cioè i Cure devi proprio sforzarti di sentirceli, ma forse in qualche brano, qua e là spuntano pure loro, se ci fai caso. Come dicevo sopra, parecchi pezzi sono caratterizzati ritmi addirittura ballabili, e gli inserti di elettronica sono piazzati al punto giusto, disseminati nella maggior parte delle canzoni. I punti dolenti sono una presenza scenica nulla, se non irritante a volte. Il carisma il cantante ce l’avrebbe pure, ma si muove zero, dà spesso le spalle al pubblico (che ieri sera era sorprendentemente nutritissimo, ma composto perlopiù da conoscenti/conosciuti), indulge troppo in dialoghi e pagliacciate con gli amichetti della prima fila, non coinvolge. Tutti gli altri musici restano invece al loro posto e fanno il loro porco dovere. Altra nota negativa la monotonicità di almeno 4 pezzi piazzati a metà concerto, che hanno fatto sprofondare tutti in uno stato comatoso, dal quale poi riprendersi è stato piuttosto difficoltoso, nonostante l’innalzamento del ritmo.  L’ultima accettata la riservo per il singolo scelto per il lancio dell’album di uscita prossima, This is the night, deboluccio ai primi ascolti, sfigura anche davanti alle canzoni proposte ad inizio concerto. Simpatica e discretamente riuscita la cover delle Shirelles, Be my girl, carinissima la confezione metallica rotonda del cd.

Avrete capito che non c’è nulla di particolarmente originale nella loro musica, ma per la Grecia un gruppo così, di spiccata attitudine indipendente, senza per forza dover suonare punk o pseudo garage, è una bella novità. Gente che si può permettere di suonare in giacca, di far muovere qualche culo, gente che di britpop (nell’accezione migliore del termine, scordatevi gli Oasis) ne ha masticato a sufficienza, musiche che rimandano volentieri ai migliori ottanta e a volte (certe tastierine sooooo vintage) pure più indietro. Quindi questo blog, nonostante i ragazzotti non siano nè amici nè parenti, decide coraggiosamete di supportarli e di sottoporre al vostro augusto e severo giudizio le tre tracce dell’ep,a mio avviso – ripeto – poco rappresentative della qualità media dei brani ascoltati. Ovviamente qui. Fatemi sapere se vi piacciono, oppure no.

(venerdì prossimo John Cale e Bob Mould)

In Grecia stiamo un’ora avanti

January 12th, 2006 | By benty in Senza categoria | 6 Comments »

Non so da voi, ma qui a Salonicco è già arrivata la copia 2/50. Grazie Ale, grazie Le man avec les lunettes . Da sabato prossimo il vostro ep girerà con insistenza al Kika, almeno finchè non mi sbattono fuori. Io nel frattempo mi sdebiterò presto qui, comprandomi il cd. Accattatevill’.

Sono un abitudinario, non mi giudicate, siete come me

January 8th, 2006 | By benty in Senza categoria | 9 Comments »

Ci sono dei rituali da rispettare, e mi accorgo all’improvviso di essere finito dentro una piacevole routine nel weekend, da un po’ di mesi a questa parte. E’ dunque tempo che sappiate. La domenica comincia con delle birre, stappate puntualmente allo scoccare della mezzanotte. Fino ad allora al Kika, dove metto dischi il sabato sera, non tocco alcool: comincio a bere con l’arrivo ufficiale della domenica, una piccola fissazione. Si finisce tardi, alle sei della mattina circa. Poi si passa da "Iannis" a mangiare sfogliatine, pizzette e quant’altro, per arginare il flusso alcolico, che dalla mezzanotte non si è praticamente più fermato. Credo che Iannis sia l’unico bougatsazidiko (una specie di forno, ma senza pane) che apre alle tre di notte, fino alle 10 del mattino, al servizio dei molti nottambuli di Salonicco. In genere verso le sei c’è la fila, e si fatica a trovare un posto a sedere. Io ci vado spesso in compagnia di qualche cameriere del Kika o di qualche cliente fisso tiratardi. Iannis ormai quando non mi vede la domenica mattina si preoccupa. Poi si prende l’autobus per tornare a casa, e si dorme fino a molto tardi, tipo che non ti accorgi nemmeno se ci sono i terremoti, come oggi. Poi si finge di fare lavoretti, di correggere compiti. Si mente a sè stessi in realtà, e ci si trascina esausti fra pc e tv, in ciabatte. Alle 14.30 c’è Friends, che è l’unica occasione della settimana in cui si accende la televisione per guardare la tv e non un dvd. Si, li ho già visti tutti gli episodi, anche più di una volta, ma è una specie di tradizione: senza Friends non sembra domenica, voi ci avete Domenica In e la Ventura, quindi non è che state messi tanto meglio. Ovviamente Friends in Italia non l’ho mai visto e non mi ha mai fatto ridere, però in lingua originale è abbastanza diverso. Poi si fa la canonica telefonata settimanale a casa, per informarli che anche stavolta sono sopravvissuto in qualche modo e per sapere da loro come se la cavano sotto una "teocrazia berlusconiana" (cfr Delio). Molto tardi, previo giro di telefonate, si va a mangiare ad un ristorante cretese in centro: buono, economico e con cibo un po’ particolare, differente da quello che si mangia mediamente in una taverna. Poi, di sera, si va da Lefteris e Anna. Lefteris lavora all’università, ed ha accesso incondizionato ad un proiettore costosissimo della facoltà. La domenica ne diventa arbitrariamente e furtivo proprietario e organizziamo in pratica un cinema a casa sua, con proiezione sulla parete. Ci si svacca su una serie di cuscini e divani, se se ne ha ancora la forza si bevono ulteriori birre. In genere si prendono due dvd, al secondo film non rimane sveglio nessuno. Ci si tira su assonnati, ci si congeda e si fa un mesto ritorno a casa, che poi domani, anzi già oggi, è lunedì e si lavora. Una volta ero fra quelli a cui la domenica non piaceva molto, ma adesso invece si.

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L’anno che verrĂ 

January 2nd, 2006 | By benty in Senza categoria | 10 Comments »

Tragedie greche stila per voi un pratico vademecum sui fatti più importanti del 2006. Meglio dell’oroscopo di Branko.

A gennaio ci saranno degli insoliti servizi al tg2 sulle diete post natalizie, poi si parlerà in maniera inattesa addirittura di saldi, di negozi presi d’assalto e dei negozianti che si lamentano lo stesso della crisi, dell’euro e della minaccia cinese. Paolo Di Canio a sorpresa fa di nuovo il saluto romano "Non sono razzista, sono fascista". Siete dei coglioni? Scoperta dell’università dell’Ohio, la colpa è di un gene. Berlusconi punta al Quirinale. Borghezio, chiudiamo le moschee.

A febbraio c’è Sanremo, se vi ci scappa farete la settimana bianca e Sanvalentino. Polemiche sul caro-cioccolatini e il caro-preservativi, e il caro-scarponi da sci. La Vita in diretta indaga sugli amori segreti della Marini. Gli italiani preferiscono passare SanValentino a casa: c’è più probabilità di far robba. Per il tg1 è l’inverno più freddo degli ultimi 50 anni bisestili. Berlcusconi punta allo scudetto, Calderoli: chiudiamo le frontiere.

A marzo la campagna elettorale, meno tasse per tutti, più soldi per tutti, più figa per tutti. Potrete addirittura ricominciare a comprare i quotidiani, cosa che non succedeva dal 94. Berlusconi punta a Palazzo Chigi: Maroni, chiudiamo i kebbabbari. Gli Italiani preferiscono tornare a casa dopo le elezioni: abbiamo sempre fatto così. Volete restare in Italia dopo le elezioni: la colpa è di un gene, oppure ha vinto la destra e tentate di ubriacarvi per dimenticare.

Ad aprile le elezioni, in cui vinceranno tutti, in netto aumento rispetto alle elezioni del 19XX. Ma soprattutto si parlerà clamorosamente della Pasqua (che incidentalmente gli italiani poreferiscono passare a casa) e ci saranno ficcanti servizi del tg2 sul caro-agnello. La vita in diretta indaga sugli amori segreti di Marina Ripa di Meana. D’Alema fa il saluto a pugno chiuso e dichiara "Non sono di sinistra, sono velista". Votate a destra ? Scoperta dell’università del Nebraska, la colpa è di un gene.

A maggio fine campionato, finale champions league, finale grande fratello. La Vita in diretta scopre gli amori di Costantino Vitagliano. Guardate programmi di merda alla tv? E’ colpa di un gene, mica vostra: scoperta dell’università della Patagonia. Per il tg1 è la primavera più media degli ultimi 32 anni. Berlusconi punta alla Champions League. Bossi: chiudetemi la zip dei pantaloni.

A giugno iniziano i mondiali, le polemiche sul dualismo Del Piero-Totti, e le vacanze intelligenti. Polemiche sul caro vacanze-intelligenti. Fate le vacanze intelligenti? Scoperta dell’università della Mongolia, la colpa è di un gene. Cassano fa il saluto spagnolo "Non sono italiano, sono barese".  la vita in diretta indaga sugli amori segreti di Ratzinger. Berlusconi punta alla Coppa Italia, lo avvertono che si è già disputata la finale.

A luglio finale dei mondiali, le polemiche su Totti che non è un leader, i servizi sul mondiale del 1982 con Tardelli che urla, la Gialappa alla radio. Servizi sugli amori di Briatore. Gli italiani preferiscono fare le vacanze in Italia. Berlusconi punta una stagista. Borghezio: chiudiamo bottega. Lapo fa il saluto sabaudo " Non sono un cocainomane, sono un pirla".

Ad agosto secondo il tg2 c’è l’estate più calda del secolo se si contano gli anni dispari, ci sono i servizi su come non morire di caldo (bevete acqua perdio, ve lo ripetono da 30 anni). Polemiche sul caro-gelato e sulla salute del campionato di calcio italiano. Avete caldo d’agosto? Siete normali, sconvolgente scoperta dell’università del Connecticut. Bossi: chiudiamo i campi-rom.

A settembre inizia l’isola dei famosi, si scatenano polemiche sul caro-astucci. La Vita in diretta scopre gli amori di Fabrizio Frizzi. Berlusconi punta verso l’asilo politico a Cuba. Borghezio: chiudetemi la bocca. I sindacati annunciano un autunno caldo: per il tg2 sarà il più caldo degli ultimi 70 anni. La vita in diretta indaga sugli amori segreti di Alessia Merz. La vita in diretta chiude per problemi di budget.

A ottobre: Polemiche sul caro-castagne. Gli italiani preferiscono passare Halloween a casa. Non vi mascherate oer Halloween? La colpa è di un gene, scoperta dell’università della Groenlandia. Berlusconi punta sullo slogan giochetto-scherzetto. Polemiche sul caro-dolcetti. Maroni chiudiamo i campi nomadi e i campi di zucche.

A novembre: polemiche sul caro-fiori il primo novembre. E’ l’autunno più autunno di tutti i tempi secondo il tg1. Berlusconi punta tutto sul 24 rosso. Calderoli: chiudiamo i campi da sci e i campi scout. Rutelli fa il saluto di Balle spaziali "Non so più chi sono". Migliaia di chiamate di sugggerimenti (molti cominciano con una testa di, o un figlio di) da parte degli elettori ai telefoni della segreteria della Margherita.

A dicembre: record di vendite per il nuovo libro di Vespa (Leccatori e leccati), il nuovo film dei Vanzina (Vacanze a Ostia Lido), caro-regali, c’è il pallone d’oro, le vittime dei botti di capodanno. Gilgiola Cinquetti fa il saluto celtico "Sono una donna non sono una santa". Gli italiani preferiscono passare il Natale e casa. Ma il capodanno no, che è un anno che sono barricati in casa secondo il tg2, che cazzo.