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Da una Liberazione alla Nuova Zelanda

March 24th, 2005 | By benty in Senza categoria | 10 Comments »

Me l’avevano spiegato il significato del 25 marzo, che qui è l’ennesimo giorno festivo, ma adesso non mi ricordo più di che si tratta. Una liberazione. Però mi sfugge da chi. Mi ricordo che per tradizione si mangia baccalà fritto assieme ad una crema a base di patate e aglio (skordalià). Dev’essere la liberazione dai turchi, ma non ci scommetterei. Perchè qui di liberazioni ce ne sono state diverse (dai tedeschi, dai dittatori, il famoso NO detto agli italiani di Mussolini), e allora vattele a ricordare tutte. Incrociale con varie giornate festive a tema religioso e avrai un quadro del significato di "produttività" in Grecia.

Se il tempo regge il programma è di accamparsi nel giardinetto di Juan, che vive in una casa assurda e meravigliosa al contempo, e lanciarsi in una non-stop drinking/eating dal sapore assolutamente internazional-fricchettone. L’idea è di iniziare dalla mattina intorno alle nove fino a tarda sera. Ok lo ammetto, ci saranno pure le chitarre e i temuti bongo. C’è anche il pretesto: Iñaki, uno degli innumerevoli borsisti stranieri, ha trovato un lavoro sontuoso a Madrid, ed è costretto a lasciare l’ Ellade, proprio adesso che il tempo stava migliorando. Allora si festeggia a suon di vino di pessima qualità e di carne a profusione, nonostante la teorica astinenza da rispettare (nistìa) per via della quaresima.

E comunque Iñaki non è per niente contento di andarsene proprio ora. Il bello viene adesso, con l’estate alle porte e le sue promesse di spiagge semideserte a un tiro di schioppo, campeggi abusivi, taverne di pesce in riva al mare, all’aperto, a due soldi. Trovarsi ingabbiato da una giacca e una cravatta, in una serissima compagnia telefonica, d’estate a Madrid, che faranno 50 gradi, mica dev’essere facile. La sicurezza economica, ha un costo.

Certo si vive nel precariato più assoluto qui, con contratti da otto mesi che nessuno è obbligato a rinnovarti. E’ così per quasi tutti quelli che conosco, io in primis. Non parlo dei greci, ma degli stranieri in Grecia. E quando ogni tanto arriva una buona opportunità, qualcuno non se la lascia scappare. Si fa una vita se non proprio da fancazzisti da gente parecchio rilassata, con degli stipendi giustamente decurtati, che il nostro lifestyle giamaicano in termini economici si paga, eccome. A dire il vero è molto greco tutto ciò: non campare per lavorare, ma lavorare per campare. Ovvero, fare il minimo indispensabile, e poi godersi la natura, i viaggi, la musica, la compagnia, il cibo, l’otium. Uno stile di vita estivo e invidiabile. C’è anche dell’egoismo e della totale mancanza di prospettiva in quest’ottica: qui il sistema bancario non dev’essere esattamente fiorente, la gente fa dei mutui per andare in vacanza piuttosto che per comprare una casa, i figli , quando e se mai verranno, che si arrangino. Fondi pensione? Mai sentiti nominare, qui. No future. Anche punk, se vogliamo.

Comunque ormai io mi sono autoconvinto che la mia è una scelta. Per altri miei simili non ci giurerei. A volte mi sembra di essere circondato e di far parte di una masnada di drop-out, persone che fuori da questo contesto paradossale (dove c’è chi paga per imparare una lingua tutto sommato inutile come l’italiano) sarebbero dei falliti, e pure qui ondeggiano sempre sul crine del "ce la faccio anche ‘sto mese". Maestri della suprema arte dell’arrangiarsi. Gente che si accontenta di poco e insicuro, per vivere in un certo modo. Finchè dura. Poi si vedrà.

E comunque, dice Juan, che prima o poi in Nuova Zelanda ci va a vivere.