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Mark Lanegan 21.11.03 – Thessaloniki, Mylos.

November 22nd, 2003 | By benty in Senza categoria | 5 Comments »

(attenzione, solito post prolisso che solo incidentalmente parla di musica. Ed aggiungo che, no, non è una parodia -volontaria- del giornalismo musicale)


Finita l’ultima lezione della settimana, in cui veniva affrontato con piglio deciso il tema scottante della differenza fra “Tutto” ed “Ogni”, ho avuto giusto il tempo per passare un attimo da casa in modo da prepararmi spiritualmente al ritorno sotto ad un palco. Alle 22.30 al Mylos era in programma il concerto di Mark Lanegan, il primo live act visto a Salonicco da giungo ad oggi. Con tutta probabilità anche l’ultimo per quest’anno, visto che di qui passano in pochi e i prezzi sono un insulto alle tasche di un professore proletario (28 euri, cazzo!). A tal propostio la mia dolce metà decideva saggiamente di sacrificare la sua inutile partecipazione, tanto per salvaguardare il claudicante bilancio familiare, quanto perchè non gliene sarebbe potuto fregare di meno di Lanegan,soprattutto. Non sono riuscito a rimediare nessun’altra anima pia che si offrisse di accompagnarmi: ok ho fatto solo due telefonate, ma a questo si riducono i miei potenziali sodali da concerto in questa metropoli. Qui scatterebbe una complessa riflessione sulla “inguaribile solitudine dell’emigrato” e sulla “condizione esistenziale di chi si reca da solo ai concerti” che però ho il buon cuore di risparmiarvi, almeno in questa sede.


Arrivo al Mylos con un anticipo minimo, faccio una fila di trentacinque secondi, giusto il tempo di bestemmiare perchè realizzo che nel prezzo del biglietto non è incluso neanche un misero drink , e gli Enemy (la band del chitarrista Troy Van Leeuwen, già nei QOTSA e negli A Perfect Circle) hanno attaccato. La support band, è composta da tre elementi, basso-chitarra-batteria. Il bassista capellone e Troy sono anche nella Mark Lanegan band, quindi possiamo concludere che ci hanno fregato anche sulla support band, oltre che sul drink. Hanno suonato per una decina di minuti un roccherolle pesante e cupo, parecchio debitore ai Nirvana di Bleach. Ma è quel tipo di musica che, ad anni di distanza, al sottoscritto non smette di piacere, soprattutto se dentro vi si rinvengono vaghe tracce di Pixies e Led Zeppelin e nulla invece della disgustosa scena cosiddetta neo-grunge (figuranti tipo Nickleback o Staind per intenderci). Insomma degli onesti rocchettari californiani, piuttosto rispettosi dei loro predecessori, che hanno proposto un pugno di canzoni potenti, caratterizzate da un cantato sufficientemente melodico e da riffettoni belli distorti.


Poi, per una mezz’oretta abbondante si sta in attesa. Nel frattempo il locale si riempie gradualmente, ma lasciando abbastanza spazio per muoversi comodi. Per i Mogwai l’anno scorso era stato molto più duro sopravvivere alla calca. Due parole sul locale. Il Mylos è uno dei club storici della scena rock della città e , fino a qualche anno fa (parecchi anni fa) , erano di casa Nick Cave, Iggy Pop, Sonic Youth, Massive Attack, Radiohead e compagnia bella. Purtroppo le nuove generazioni elleniche sembrano apprezzare sempre meno certa musica, e orientarsi sempre più verso il pop-greco, che è quanto di peggio si possa musicalmente concepire. Il Mylos si è adeguato, ed ha iniziato a proporre musica qualitativamente accettabile (come ieri sera) molto di rado. Adesso dunque, quando passano da Salonicco gruppi tipo i Cardigans, oltre a pagare i canonici “trentaeuritonditondiesenzadrink”, occorre glorificare Iddio per tanta grazia. Il pubblico non è molto eterogeneo e risulta abbastanza grandicello: parecchie chiome brizzolate, t-shirt che svariano dagli Hellacopters ai QOTSA, i soliti capelloni ed heavy rockers foderati di pelle, i presenzialisti, che parleranno invariabilmente durante tutto il concerto. Le stesse facce dei (pochi) concerti visti fin qui. Credevo che vedere sempre la stessa gente ai concerti fosse una prerogativa di posti tipo le Marche, ma invece no.


Mr Lanegan si presenta sul palco poco dopo le 23, non saluta e comincia a cantare. Ha le mani tatuate con delle stelline su tutte le dita, indossa una camicia nera, ciondola la testa, se ne sta perlopiù ad occhi chiusi, beve molta acqua fra un brano e l’altro e fuma circa duecento sigarette. In genere ne prende una, fa due tiri e la spegne. Si vede che dà retta alle scritte sul pacchetto, e che ci tiene alla salute. Rilevo per la cronaca che sfoggia un taglio di capelli più improponibile del mio , e ciò mi solleva. Una sigaretta se l’è anche posizionata strategicamente dietro l’orecchio, rivalutando in un sol gesto una certa bistrattata estetica tamarra. La formazione è composta da due chitarre, basso batteria. E al 90 % dalla sua voce. I commenti che raccolgo appena sale on stage sono del tenore “E’ ubriaco che fa schifo”. Invece mi sa proprio di no, anche se sembra barcollare. Almeno la sua musica non ne risente affatto. O forse si, ma credo che si facciano sentire tutto l’alcol, i tormenti e le sigarette di una vita, e non quelli di stasera solamente. La sua voce ruvida fa tremare il locale e le gambe, e potrei giurarci che scalda parecchio le bimbe estasiate che sono appollaiate in prima fila. Questo qui sembra davvero il figlio di Tom Waits, quello che dice di aver tradito il blues per il roccherolle, ma invece di nascosto da papà, la musica dei negri ancora gli piace, eccome. Il suono della sua band è scarno ed essenziale, se si eccettuano due o tre assoli che si concede Troy. La loro musica (ma che è? Folk? Blues? Rock? Boh?!) ci arriva dritta fra l’anima e le budella, calda, scura e pesante come un caffè allungato col whiskey. Ad un tratto, per un attimo solo, questi matti americani mi erigono anche una barricata sonica degna di certi Velluti Sotterranei, mica chiacchiere. Poi Mr lanegan li riconduce alle ballate intrise di Jack Daniels, ad un certo southern mood di frontiera, alle atmosfere dense e malinconiche, portandoci a spasso fra le desolate routes americane, in bar poco raccomandabili e fumosi, a parlarci di donne e di Dio fino all’alba. Con la bottiglia sempre in mano, sia chiaro. Tutto già scritto e già detto, ma sul serio la voce di Lanegan sembra uscire da posti abbastanza profondi, tipo l’inferno o le sue viscere. In tutto il concerto Mr Lanegan ci dice tre volte “thanks” e una “goodnight”, a parte la più svogliata presentazione della propria band che ricordi in 12 anni di concerti. Dopo un’ora scarsa il gruppo si concede un break, poi tornano per altri tre pezzi, Lanegan esce definitivamente (di nuovo senza salutare) mentre la band continua a suonare per qualche altro minuto. Non ci è stato concesso un accenno di sorriso in tutto il set, il che mi dà proprio l’impressione di uno che con la sua musica sofferta e il suo aspetto da maudit non finge, o almeno me ne illudo volentieri.


La mia approssimativa conoscenza del repertorio di Lanegan, il riarrangiamento di alcune canzoni in chiave più elettrica, i nuovi pezzi estratti dall’EP di prossima uscita e anche l’acustica pessima del locale, fanno si che, nell’ora e dieci scarsa di concerto, il sottoscritto sia riuscito a riconoscere si e no la metà delle canzoni. Si certo, tutte scuse, ci si dovrebbe vergognare, altrochè. Fra queste una “Don’t forget me” che ha acceso parecchio gli animi, una tiratissima “Borracho” e “Pendulum” se non ricordo male posta in apertura di concerto. Mi aspettavo “Day and night” e “Resurrection song” ma niente da fare. Mi aspettavo la celebre cover di Leadbelly e invece n’è saltata fuori una di Captain Beefheart , “Clear Spot” (l’ho scoperto a posteriori, non sono mica così indie …)


E con questo mio primo ( e probabilmente ultimo) post-recensione di un concerto, do il mio tacito benestare a Delio per la creazione della categoria “peggior descrizione di miglior concerto visto all’estero” per gli indieblogaward. Vincerò, lo sento.