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Sarai nights: perchè il viale del tramonto si percorre a piedi nudi

February 15th, 2009 | By benty in Senza categoria | 10 Comments »

Hortiati è un villaggio anonimo a mezz’oretta da Salonicco. In mezzo alla cui piazza centrale c’è un bar assai velleitario e francamente terrificante, che si chiama Sarai. Sull’origine del nome devo ancora indagare. Questo bar è stato rilevato da un gruppo di amici, che l’hanno inusitatamente innalzato al rango di "art cafè", così recitano anche gli orrendi portachiavi che non vengono lesinati a clientela e personale.

I ragazzi in questione me li immagino in pieno brainstorming, concentratissimi a partorire raffiche di ideone per la direzione artistica del nuovo locale.
 
"Hey, qui abbiamo bisogno di un qualcosa che suoni più cittadino, urbano, metropolitano, cosmpolita"
"Sisi, dai, sprovincializziamoci"
"Ma certo diamoci un chiaro taglio internazionale"
"internazionale e alternativo"
"alternativo e indipendente"
"indipendente e artsy"
"ecco, direi allora che il karaoke è ciò che ci vuole"
"indubbiamente"
"su questo non ci piove"
"tutti d’accordo: e poi cos’altro?"
"Beh senz’altro la pagina facebook"
"quella c’è già!"
"ok allora siamo modernissimi"
"decisamente un sacco avanti"
"di più, ragazzi, dobbiamo fare qualcosa di più"
"che ne dite della serata in maschera a tema ?!"
"genio!"
"grande!"
"mito!"
"anche se non è ancora carnevale?"
"sisi"
"si ok, ma non basta"
"occorre rischiare, ci vuole la musica dei ggiovani di tendenza, roba cool"
"diamoci un tocco d’esotismo"
"si, ma ordiniamo dell’altro ouzo, che la prima boccia l’abbiamo già schiantata"

Immagino che la decisione di ingaggiarmi come dj per il venerdì sera, sia maturata così, in questo clima immerso nell’alcol. Gente inconsapevole di ciò che avrei suonato, pronta a farmi fuori alle prime lamentele dei clienti-habituè-buzzurri, che però, per ora mi stende tappeti rossi, anche perchè un italiano che suona musica abbastanza insolita per quelle latitudini, in un paesetto di 5000 persone, fa abbastanza figo. Fascino e mistero del relativismo. Mi fanno sentire davvero una superstardj. Roba che non mi sono mai sentito così coccolato e vezzeggiato da nessuno staff dei posti dove ho suonato. Tanto che ho già cominciato a fare i capricci, per darmi una credibilità da primadonna, annullando su due piedi la seconda serata perchè (recito testualmente) "Devo andare a vedere i Tindersticks". E loro accondiscendentissimi, a dirmi che non c’erano problemi, di non preoccuparmi e di divertirmi pure al concerto.

Mi hanno contattato tramite un’amica comune, mi hanno invitato a suonare venerdì scorso (c’era più gente di quella che vedevo in media un martedì all’Ekkentron, un venerdì al Kika o un sabato al Pulp, che è tutto dire). La proposta iniziale prevedeva sia venerdì che sabato, soluzione che mi avrebbe permesso di incassare un bel gruzzolo e un prematuro divorzio. Quindi ho optato per la più ragionevole soluzione del solo venerdì. Mi hanno esaminato scrupolosamente il curriculum, chiedendomi dove avevo suonato, che generi prediligevo e poi le solite domande sul perchè e percome sto in Grecia, per rispondere alle quali mi avvalgo in genere di un comodo modulo FAQ prestampato. Non suonando dall’anno scorso (se si eccettua la felice parentesi fabrianese di capodanno dove ho fatto ballare un migliaio di persone e poi la solita tappa alcolica al circoletto dove abbiamo fomentato le folle io, Santos e redrhum) ci avevo una voglia di smanettare su una consolle che lèvati. Dunque finite le chiacchiere, e dando probabilmente un’ impressione di stakanovismo malato, mi sono gettato sbavando a studiare mixer, lettori e quant’altro.

Noto subito che si tratta di un equipaggiamento scadente e che l’infelice disolcazione di lettori e mixer mi costringe a delle torsioni che manco una Nadia Comaneci alle olimpiadi dell’80. E per finire, piccolo dettaglio, mancavano le cuffie. Spiego che difficilmente potrò metter dischi senza cuffie. Scatta rapida l’organizzazione: non ti preoccupare dj, ora rimediamo, fra un po’ inizi, vedrai che esiste una soluzione. Parte un rapido giro di telefonate, gli sguardi di corrucciano, poi l’epilogo più ovvio: siamo a Hortiati e non ci sono in paese altre cuffie. Quindi, lasciando probabilmente un’impressione di disperato ingrifamento, mi offro – con grande spirito di sacrificio – di tornare io a casa a prenderle (e salta così un’ora abbondante di dj-set e 10 euro di benzina).

Comincio la serata dunque trafelato, in maniera musicalmente brusca. Come anche altrove la gente non sembra curarsi particolarmente della mia presenza, nè apprezzando nè lamentandosi. Dopo un po’ giungono un paio di richieste abbastanza a tema (Violent Femmes), un paio meno a tema, ma abbastanza stupefacenti, da uno dei capi (Bambole di Pezza e Banda Bassotti! A Hortiati !), oltre a un paio che in altri contesti avrebbero portato alla decapitazione immediata con calcio rotante del richiedente (Should I stay or Should I go, Losing my religion e I can’t get no satisfaction: per il capitolo rock a Hortiati nell’anno del Signore 2009) ma che cionondimeno, visto che siamo al debutto e occorre farsi volere almeno un po’ di bene, accontento ruffianissimamente. Inoltre vista l’insistenza, sicuramente dettata da gentilezza, con cui continuavano a chiedermi di passare roba italiana, mi sono anche concesso il lusso di uno Spara Juri e di un Vinicio che canta Celentano, a un certo punto, riscuotendo sorrisi plasticosi da chi si attendeva più probabilmente una Raffaella Carrà d’annata.
 
A fine serata vengo trascinato in un bar parecchio equivoco, abbastanza nascosto, con musica orrenda, dove uno dei capi, mio diretto referente, mi ha fatto un sacco di complimenti, mi ha spiegato che, anche se non si vedeva, la gente s’era parecchio divertita, e che tutto il consesso dei capi sarebbe stato contentissimo di avermi a mischiare dischi tutti i venerdì.

A quel punto, o forse un po’ prima, mi sono visto come un Signori o un Batistuta a fine carriera. Dopo che hai finito il periodo d’oro, delle grandi squadre prestigiose, dei successi, dei goal e delle prime pagine, si emigra al caldo degli Emirati per svernare, giocando gli ultimi anni in campionati farsa, dove si possono mostrare, come delle foche, i colpi migliori, senza reali competizioni, con una blanda nostalgia dei fasti antichi, esibendosi per un pubblico a cui del calcio magari interessa anche poco. O ancora miglior metafora, vista la mancanza dello stipendio d’oro nel mio caso, sarebbe quella di quei calciatori che non vogliono smettere, che non ci stanno ad appendere gli scarpini al chiodo, e si divertono anche nelle serie minori, lontano dalle luci della ribalta. Perchè quello che ti spinge forse è la passione, la voglia di continuare comunque a fare quello che più ti piace, a prescindere o quasi da dove si fa e per chi lo si fa. Perchè lo si fa per sè stessi e basta alla fine, ecco perchè.

E dunque ho accettato, ci mancherebbe altro