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Goodbye beautiful joys

November 10th, 2007 | By benty in Senza categoria | 1 Comment »

Mi reco allo Kslilourgeio, locale piccolo ma buono, all’interno del complesso Mylos, con l’animo sordo di chi non vuole sapere. Tornano per la terza volta in pochi anni le mie dilette Electrelane in concerto, ed io nuovo io ci sarò. C’ero la prima volta, quando eravamo in quindici (ho sempre sognato poterlo dire) e a fine serata ci hanno offerto da bere, c’ero a Benicassim in trionfo di pubblico, c’ero la seconda volta a Salonicco col locale pieno e mi sono dovuto allontanare in anticipo sulla fine, ci sarò anche stasera. Suoneranno molti pezzi di No shout no calls, cd che ho acquistato, ho ascoltato, ho suonato, ho anticipato, di cui ho scannerizzato la copertina per farne tshit (fichissime) da regalare, strumento grazie al quale ho convertito al culto delle 4 brighotniane chi a me è più vicino.

La nefasta novella avrei dovuto apprenderla poco prima del concerto, da una email che conteneva un link. Invece il pc mi ha impedito di aprirla. Mi piace pensare che abbia voluto proteggermi dallo straziante dolore, e poi dicono che i computer non hanno un’anima. Poi però le cose si vengono a sapere. Una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcuna email. Le situazioni più dure vanno affrontate virilmente, da uomini adulti. Quindi ho deciso di togliermi le mani dalle orecchie, ho aperto gli occhi e soprattutto ho smesso e di urlare a squarciagola "LALALALALNONONLOVOGLIOSAPERELALALALALNONMELODIRELALALALNONMIINTERESSALALALALA". E ho saputo. Le mie amate hanno deciso di sciogliersi (per ora).

Ciò deve aver influenzato quasi sicuramente il mio umore ieri sera. Almeno così mi è sembrato di capire. Non tanto per le  macchine fuori dal locale che ho rigato, o per le crisi di pianto improvvise e quella sciocca rissa all’entrata. Quanto perchè ho sviluppato un’insofferenza insolita per i gruppi di supporto, che probabilmente in altre situazioni avrei apprezzato di più.

In primis gli evitabilissimi Dread Astaire, greci cugini moooolto sfigati degli One Dimensional Man, col cantante che presentava il peggiore taglio di capelli visto in anni di carriera concertistica, un’acconciatura agghiacciante sospesa fra Fernando Couto, Cocciante e Ozzy Osbourne e il bassista con il giacchetto di Fonzie che dentro il locale c’erano 30 gradi. E lui non sudava.

E poi la violista Anni Rossi, che invece nei tre o quattro pezzi eseguiti m’è abbastanza piaciuta, con le sue melodie sghembe, ma smentendosi in seguito su disco.

A tutto ciò segue una specie di smontaggio palco-soundcheck infinito, giustificato da Verity con il fatto che gli avevano cancellato il volo e dunque avevano dovuto farsi prestare parte della strumentazione andata perduta, e avrebbe dovuto suonare il piano senza pedale. Immagino ciò rappresenti un dramma, per un pianista.

Alla fine cominciano le mie belle gioie. Mi sembrano però, lo dico subito ma lo capirò dopo, più fredde e meno compatte. Sarà il frangettone di Verity, sarà l’immobilità di Ros in mezzo al palco, saranno i tacchi di Mia che i è diventata mora, forse non casualmente. Facciamo a capirci. Le ragazze continuano a brillare di luce propria. Sanno sempre orchestrare magistralmente un’ora e qualcosetta di emozioni, fragori & esplosioni, suadenti canti da sirene, tastiere imbestialite, chitarre giovanisoniche, buio e luce,  batteria che pestapestapesta, accelerallentamenti cinematici, lati oscuri della mente, riffettoni a effetto anthem, urletti da stadio (piccolo), chitarroni pesantoni, melodie che ti si piantano nel cervello come chiodi e roba che fa hedbangare i peggiori metallari presenti. Un malestrom di cose, però fuso stavolta a temperatura zero. Sudano solo Mia, che quella chitarra la offende e percuote con il solito trasporto e la solita classe, e Emma, vero kalashnikov ritmico con tanto di polsino di spugna, occhi – sempre quelli – da cerbiatta maschia e ciuffo very very emo. Verity in particolare mi è sembrata altrove, forse stranita dagli imprevisti, e mi è parsa mancare, nonostante l’innegabile riuscita del concerto, quell’intesa forte, evidente, quell’unisono violento, e dunque la loro stessa identità, ovvero l’anima Electrelane, che altre tre volte avevo ammirato a bocca aperta e in genere perdendo saliva in segno di ammirazione.

Quindi è stato un addio in sordina, in tono dimesso, senza lacrime, a nemmeno senza tanti sorrisi. Pure il pubblico, parecchio numeroso, sembrava rispondere meno delle altre volte, e solo ai pezzi più tirati. Per quanto vi riguarda, o lontani conterranei, non cercate loro date, che il loro ultimo tour non prevede l’Italia, e non so perchè, ma mi pare pure giusto.

il cimelio del triste commiato, frutto dell'amore e dell'agilità della mia comprensiva fidanzata