La signora Elisabetta e il Cinar

03 October 2006 | By benty in Senza categoria

La signora Elisabetta spesso si siede ai tavoli del bar-pasticceria che si trova sotto la scuola. Va a prendersi un caffè con qualche amica. Non posso proprio dire di conoscerla, piuttosto è lei che conosce me. Una volta ero lì con la mia socia, che ci disperavamo per far quadrare i conti della scuola, e alla quarta imprecazione del sottoscritto, la signora Elisabetta si fece coraggio. Si alzò e si presentò. Era incuriosita dal fatto che stessimo parlando italiano. Lei dovrebbe essere di Firenze se ben ricordo, e vive da parecchio in Grecia, anche se continuo ad ignorare le motivazioni che l’hanno portata qui. Quella volta iniziò a fare domande, e non ci lasciava riprendere la nostra cruciale discussione societaria. E’ un po’ petulante la signora. Ma essere scortese con lei non si può, non è politically correct. La signora Elisabetta sta male, malissimo, e non ci vuole molto a rendersene conto. E’ scheletrica, rasenta la trasparenza, è completamente calva, visibilmente provata dalla vita e dai suoi malanni. In genere gira con dei buffi copricapo a tese piuttosto larghe, o con dei foulard colorati in testa. Quando parla lo fa con una lentezza esasperante, come se le parole le uscissero a fatica. Io non so mai che dirle alla signora Elisabetta quando la incrocio, se non un frettoloso buonasera. Voi potreste osservare che basterebbe aggiungere un altrettanto distratto "Come va?". Ma con lei una domanda del genere, apparentemente innocua e che non richiede altro che uno scontato "Bene grazie", non te la puoi proprio permettere. L’ho fatto una volta e me ne sono pentito. Ero con degli amici a prendere un caffè e vedendola osai chiederglielo "Signora come va?". E lei iniziò, per cinuqe minuti a parlare ininterrottamente della malattia, delle operazioni, della sofferenza. Gelandoci il sangue, facendomi sentire un perfetto idiota, lasciandomi completamente senza parole, senza sapere cosa rispondere, solo in grado di farfugliare dei sommessi, "Mi dispiace, non sapevo". Non so voi, io davanti alla sofferenza altrui vado in panico comportamentale, non so mai cosa dire, balbetto, sudo, mi innervosisco, mi blocco.

L’ultima volta che la vidi, prima di partire per l’Italia mi chiese se per caso potevo portarle una bottiglia di Cinar, cosa che stranamente mi ricordai di fare. Solo che al mio ritorno nell’Ellade la signora Elisabetta non si vedeva più al bar. Qualche settimana fa lasciai la bottiglia spiegando al gestore del locale a chi era destinata. Passavano i giorni e e cominciavo a pensare che quella bottiglia sarebbe rimasta da parte, ma che non sarebbe andato nessuno a prenderla. E invece l’altroieri, mentre passo davanti al bar sento una voce "Professore, professore!". Era lei. "Grazie davvero per la bottiglia, l’ho già assaggiato, è ottimo. Certe cose da queste parti non si trovano. Lei è stato molto gentile, la ringrazio molto, mi dica quanto le devo". Da signore quale sono rifiutai il denaro. Lei allora "Va bene magari le offro un caffè qualche volta". Mi imposi un certo aplombe. " Si certo, magariunaltravoltaadessodevoproprioandarechevadodifrettasacomèabbiamoleiscrizioniarrivedercisignoratantebuonecose". Dissi sfrecciando come un treno. Speravo di cavarmela e di zittire i miei sensi di colpa per essere in salute con una semplice bottiglia di Cinar. Stolto che non sono altro.

4 Comments on “La signora Elisabetta e il Cinar”

  1. il cinar è veramente discutibile.. qui a torino come ammazzacaffè è di rito il san simone.. salonicco prima o poi si ripassa di lì, con sorprese varie..

     

  2. di fronte alle sofferenze, alle malattie, alle tragedie lavorative e famigliari, altrui, io mi sono abituata a reagire così: le comprendo.

     

  3. Benty lo conosci il san simone?

    cazzo che cuore d’oro. chi direbbe poi che tu sia un teppista?

     

  4. mai sentito parlare si sansimone caldo a boccate generose tracannate sotto i palchi d’italia in compagnia dei miei blogbrothers. mai