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Ian Brown a Salonicco

October 22nd, 2005 | By benty in Senza categoria | 3 Comments »

Ian Brown è un tamarro. Questo va detto subito a scanso di equivoci. Niente a che vedere con i fighetti impomatati e incravattati che vanno di moda adesso. Ci si presenta con dei pantaloni a cavallo basso, felpa con caratteri tribali, giacchetto di pelle. Capelli come vanno di moda a Tirana, faccia con un non so che di pasoliniano. Working class mancuniana, a partire dai lineamenti.

Il britpop da queste parti, nei remoti anni 90, ha spopolato, molto più che il grunge. Stone Roses, Happy Mondays e Charlatans erano gruppi largamente popolari in Grecia, a loro tempo. Il fatto è che parecchi greci delle mia età in quel periodo se ne stavano in Inghilterra a studiare, e l’epopea di Madchester se la sono vissuta in loco. Quindi Ian Brown qui è un nome che ancora infiamma i cuori. Il mio di meno. L’ibrido di dance e pop non mi ha mai convinto in questi termini, se si eccettuano alcune canzoni meritevoli. Però la penuria concertistica salonicchese di questo inverno mi costringe a presenziare anche quando potrei farne benissimo a meno.

Della sua carriera solista ingnoro, non mi sono neanche dato la pena di cercare qualcosa su internet. Ma è chiaro che non sono il solo, la gente è lì per sentire qualche pezzo degli Stone Roses e quindi ci si ritrova (di nuovo!) a un concerto per reduci. Essendo questo un tema ricorrente, mi verrebbe da azzardare un parallelismo col campionato di calcio greco, dove vengono parcheggiati gli scarti e i giocatori finiti degli altri campionati, ma mi astengo dall’ardita metafora calcistica. Ian Brown come Rivaldo all’Olimpiakos, mi pare davvero irriverente. Verso il glorioso passato di Rivaldo.

Ian Brown sul palco ci sa stare, ma a me non piace affatto come ci sta. E’ tutto frenetico, balla sempre, prende in giro il pubblico, è tutto mossetine, ammiccamenti, pose, insiste col greco ma quando parla col suo cacchio di british non si capisce una fava, continuamente si avvicina a dialogare col pubblico, indulge in varie ruffianate, fa addirittura il mimo con la faccia schiacciata sul vetro, prende un cellulare da un fan in prima fila e ci giochicchia, sputa,  invita tre ragazzine inglesi a cui prima aveva ceduto il microfono nei camerini, si insaliva le sopracciglia, si riempie la bocca d’acqua e poi la schizza sul pubblico. Davvero troppo per i miei gusti.

Già il malumore mi attanagliava dopo che mi avevano chiesto DODICIMILALIRE  per una stracazzo di birra. E poi al Mylos-apothiki Il suono fa schifo, lui stona a più riprese, la scaletta è maldistribuita: partono forte, con tre pezzi degli Stone Roses, I wanna be adored, Made of stone, e Waterfall. A quel punto si sarebbe potuto tornare a casa tranquillamente, e ci saremmo risparmiati, oltre ad un’altra ora e qualcosetta di noia, una orrenda cover dei Sex Pistols e tre inutili encore da una canzone l’uno. E’ musica in cui il ritmo si mantiene basso e costante, ed è cantata in maniera monocorde, alla lunga stufa. Trenta euro non se li meritava.

Quindi mi tocca amaramente concludere che oggi sono parecchio meglio i fighetti incravattati  – anche se scopiazzano-  che i tamarri un tempo originali.

Motivi di gioia della serata alcune conferme sui concerti che si terranno a Salonicco da qui a dicembre: a parte gli A-ha, ci saranno i Mercury Rev, i Cake, i Deus (che probabilmente non riuscirò a vedere), i Mission, e soprattutto torneranno a trovarmi quelle belle gioie delle Electrelane.