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Madredeus a Salonicco

September 28th, 2005 | By benty in Senza categoria | 6 Comments »

 (il solito post nostalgico su Lisbona, alla fin fine)

I portoghesi Madredeus, nonostante la sconfitta nella finale dell’europeo di calcio dell’anno scorso che ancora brucia, sono tornati in Grecia, e guardaallevolteilcaso proprio a Salonicco. Il concerto si tiene al Megaro Musikì, un teatro grandissimo e moderno, con una acustica sopraffina. Mi devo segnare, per la prossima volta che ci vado, che a un teatro così elegante non si va in sneakers, jeans sporchi e tshirt quantomeno discutibile. Non se parecchi di quelli attorno a te sono dei vegliardi vestiti di tutto punto, e si sono portati pure i binocoli (proprio come a teatro) per vedere il gruppo sul palco, che in effetti resta lontanuccio. Ritenetevi comunque persone fortunate, perché quest’oggi vi beccate due recensioni di un concerto, al prezzo di una.

Recensione numero uno: l’oggettivo critico musicale. (Objectivo um caralho, eu amo os Madredeus)

I Madredeus sono invecchiati, o se vi suona meglio diciamo che sono maturati. Le chiome imbiancate dei componenti maschili del gruppo, vi rammentano che Lisbon Story, il film di Wenders che li ha fatti conoscere al mondo risale a un sacco di anni fa. Come si classifica la musica dei lisboetas? In che categoria la infiliamo? Non ha la pesantezza dolce e la violenza vocale del fado, non è propriamente musica tradizionale, non è musica da camera, molti l’hanno sbattuta nell’enorme calderone residuale della musica “etnica”, che non vuol dire assolutamente nulla. Un basso acustico e due chitarre, più tastiere discretissime. Poche e sobrie le luci sul palco. E poi Teresa, che è ben più della sua voce splendida, è una presenza che catalizza l’attenzione del pubblico senza bisogno di trucchi, frizzi e lazzi, senza quasi bisogno di muoversi, le basta sorridere. Si concede solo il vezzo di un cambio di abito nell’intervallo. Le chitarre disegnano paesaggi malinconici, si incastonano a meraviglia, dipingono delicatissimi azulejos, tratteggiano trame acustiche leggere su cui la voce di Teresa si adagia, si immerge, si staglia, sopraneggia soave, pennella tinte pastello, canta la saudade e l’amore che finisce, che si agogna, che si nasconde fra i vicoli della Mouraria e dell’Alfama. In un brano magari ti accennano un tocco di blues, che poi – pensi – è sempre la musica del dolore, come il fado, come la rebetika greca, come certo flamenco Andaluso. L’alma latina in certi passi esce allo scoperto, tradita da rari arpeggi di chitarra appena più spagnoleggianti, ma gli assolo non sono mai ingombranti, mai egocentrici, mai superfluo sfoggio di tecnica, nulla risulta fine a sé stesso nella musica dei cinque “alfacinhas”. I Madredeus sono puro sentimento, sottoforma di musica malinconicamente essenziale, eppure dolce e sofferente. Si celebra lo struggimento per la perdita, la mancanza e la lontananza, senza eccessi melodrammatici. Non puoi non volergli bene ai Madredeus, se non ti piacciono sei solo un mostro senza cuore, e meriti di votare Forza Italia. Puoi al limite – dopo un po’ – trovarli noiosi, perché piuttosto raramente il ritmo cresce, puoi criticarli perché troppo romantici e monotematici, puoi pensare che siano un po’ stronzi perché del loro capolavoro Ainda (soundtrack di Lisbon story) ti suonano solo un pezzo. Se ti sforzi puoi pensare che siano insopportabilmente campanilisti, perché nelle canzoni proposte ieri sera – e in gran parte del loro repertorio, la capitale lusitana è celebrata, evocata, fa da sfondo e da protagonista, ricorre in maniera quasi ossessiva, e se non è lei è il suo fiume, i suoi quartieri, la sua luce. Ecco, trovata la definizione, i Madredeus suonano Lisbona. Ma fondamentalmente sto parlando a te, sciagurato lettore, i cui occhi non si sono mai posati sulle meraviglie della città più bella del (mio) mondo.

Recensione numero due: the emotional me, for Lisbon impaired

Perdonerete l’ingenua onestà del vostro cronista, ma ammetto che su Ceu da Muraria ho trattenuto a stento le lacrime, e ci avevo i brividi come uno smidollato. Quando ad ascoltare una musica che già di suo è fortemente emozionante si ritrova una audience (per vari motivi) così concentrata seppure numerosa, l’atmosfera che si viene a creare è quella perfetta per questo tipo di concerti. Ci si può permettere un ascolto attento. Coi Madredeus, che furono la colonna sonora dei miei dieci mesi a Lisbona (oltre a tante, troppe altre musiche – ma qui poi diventa un discorso lungo, meglio lasciar perdere), la melodia man mano si trasforma per il sottoscritto in un torrente lavico di ricordi, fra cui quello di sé stesso di otto anni prima, mentre si trovava in paradiso, ovvero in una calçada in fondo al Bairro de Santa Caterina. Piena, personale, dolente saudade portuguesa. Maledizione, ci sono ricaduto. L’attenzione di cui sopra va a farsi fottere a lunghi tratti. Sulle note dei Madredeus scorre davanti ai miei occhi inumiditi un film – proprio come in Lisbon Story (ma questa E’ una Lisbon story!) – o meglio scorrono immagini montate alla rinfusa, posti e volti, profumi e viaggi, bevute di absinto e discorsi infiniti, vicoli con tavole imbandite la notte di Sant’Antonio, feste affollate e notti di solitudine, voci amiche, personaggi secondari, lingue diverse, case, piazze, colori. Le nuvole sopra Lisbona, che si rincorrono e cambiano forma come in nessun altro posto, veloci da non crederci quasi. Si ricordano passeggiate solitarie alcoliche alle sei di mattina, scendendo dal Bairro Alto, quando si aveva in una mano la felicità e nell’altra un panino caldo col chourizo. Quando alzando il naso ti ritrovavi a destra il Chiado, quando ti sentivi un po’ il padrone del mondo, e sapevi che la tua vita, se c’era un Dio, sarebbe dovuta continuare lì, per sempre accanto al Tejo e sotto lo sguardo benevolo del Cristo Rei.

Ma come avrete appreso subito dopo l’inconsistenza sulle voci riguardanti Babbo Natale, non c’è nessun Dio, e neanche la felicità di quel tipo dura. Se ci hai culo te la vivi un po’ a sprazzi, brevi e violenti. E in quel caso devi ringraziare Dio (che però – appunto – non c’è, ma fa lo stesso). Questa, anche se non sembra, era una recensione del concerto dei Madredeus .