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We are a happy (sonic) family: Sonic Youth a Ferrara

June 28th, 2005 | By benty in Senza categoria | 9 Comments »

Sonic Ice cream

La mia gitarella a Ferrara comincia praticamente quando incrocio Thurston Moore per strada che si mangia un gelato passeggiando spensierato. Sgrano gli occhi, non posso credere di trovarmi di fronte all’uomo il cui taglio di capelli tento inutilmente di eguagliare da decenni. Lui vede la mia maglietta d’ordinanza da "Concerto dei Sonic Youth" sorride e mi fa "Hi!". Io non riesco a rispondere che "Hi!" a mia volta. Vorrei essere ricordato per questo, scrivetelo sulla mia lapide. Dio, come so essere adolescenziale a volte. Comunque voi ce lo fareste scrivere su uno dei migliori magazine nostrani di musica uno che vede il caposcuola indiscusso della coolness indie a un metro e non lo riconosce? Isidoro gimme a call.

Youth (?) against fascist bartenders

Insomma con il suddetto giornalista decidiamo di andarcene a bere, nel caldo assassino delle 4 di pomeriggio. Sapete come sono ‘sti tipi indiesnob, si riesce a parlarci solo della scena indietronica finlandese per ore, ma si mostra poi interessato anche agli ultimi sviluppi del fiorente movimento glitch-pop greco, su cui lo aggiorno abbondando nei dettagli. Quando decidiamo di cambiare posto ci ritroviamo in una famosa "Spritzeria" del centro. Famosa per gli spritz forse, ma non per il fatto che è un ritrovo di militanti di forza nuova, evidentemente: campeggiano manifesti inneggianti a Borghese, e altre facezie paramilitari. Il barista, rasato, annovera vari tatuaggi, fra cui ne spicca uno molto bello e colorato sul polpaccio, che recita "A noi". Mi è bastato per decidere di prendere volentieri un secondo spritz, e al contempo di non pagare neanche il primo e fuggire. "A voi" non vi do un cazzo, merde.

Sonic Youngsters

Il tempo di rimettere il giornalista su un treno e torno in piazza, prendo il biglietto, entro all’apertura dei cancelli e mi piazzo fra le prime file, per inerzia. E dire che c’era gente che mi cercava (cliccate assolutamente, è di una bellezza straziante). L’attesa al caldo è sfibrante, ma ho modo di venire a contatto con i "Giovani fan dei Sonic Youth". Ne ascolto rapito le discussioni. C’è uno con la maglietta degli Mc5, che tenta di spiegare a una fanciulla chi siano i componenti della band "E poi c’era Fred Sonic…coso". C’è uno che ci ammorba per ore con il suo gruppo che "Prima suonavamo tipo i Marlene, poi adesso suoniamo più indie-emo-hardcore" e poi si scaglia con una violenta requisitoria verso il magna magna dei locali di musica dal vivo. C’è quello di diciotto anni che si è fatto quattro ore d’autobus per vederli, e quando si trova Moore a due metri a momenti sviene. C’è quello di vent’anni che recensisce pubblicamente ed elogia gli Zu. C’è quello che ti fa vergnognare di essere marchigiano per quanto è coglione, e mi sa che toccherà ritrovarselo fra le scatole pure a Urbino. Sono tanti, giovani e belli. Ed è bello che ci siano. Sono abituato a trovarmi attorno gioventù diverse, malsane nei loro riferimenti televisivi, rincretinite da idoli pop e reality show, praticamente dei decerebrati con cui si ha difficoltà a rapportarsi. Viene da pensare al gap generazionale. E invece no, la meglio gioventù esiste, ed è qui stasera, nonostante le esagerazioni e le ingenuità, che a 18 ci stanno, per forza. Davanti ad un gruppo che è nato nei primi anni 80, ovvero quasi 25 anni fa, e che ha dato il meglio di sè a cavallo fra fine ottanta e primi novanta, (voce di popolo, che a me se proprio lo volete sapere piacciono sia Nurse che Murray Str.) il pubblico che osservo risulta un po’ "vascorossizzato", nel senso buono del temine appena coniato. I fan dei SY hanno subito un ricambio generazionale impressionante, come quelli di Vasco. La differenza sta nel come è invecchiato Vasco e  come i SY, tutto lì. Mica poco. Sono, con distanza, il più anziano là in mezzo (d’accordo, le prime file sono per gente dura, chiedetene conferma a lui) e la cosa non mi intristisce. Anzi, quasi mi commuovo per la speranza che mi infonde  vedere adolescenti con le magliette dei Velvet Underground, invece che della Guru. Certo, poi alla fine sono solo atteggiamenti. Certo, per gli integralisiti i SY sono finiti con il primo album, dopo di cui si sono venduti alle multinazionali, e adesso fanno twee-pop, vanno a MTV, sono commerciali e sputtantati, quindi è ovvio che piacciano ai giovani pseudo alternativi. Per me invece quei diciottenni là sono tutte orecchie strappate ai Tizianiferri e alle Laurepausini, cervelli che hanno fatto uno sforzo per ricercare qualcosa che non viene vomitato dalla televisione. Quindi me ne rallegro. Poi tocca anche sentire cose del tipo "Kim è una gran figa" manco fosse Beyoncè, da uno che poteva esserne il figlio.

Total trash

Cominciano i Fantomas. Una ragazzetta vicino a me non smette istericamente di urlare "Buzzo, Buzzo, voglio Buzzo". Lasciandomi impietrito. Dico vabbè il fascino dell’artista, vabbè i Melvins, vabbè che avrà tirato su a pane e chitarre Kurt Cobain, ma tu che hai neanche diociott’anni, che te ne fai di un ciccione cinquantenne, possibilmente tossico, con dei capelli che neanche Telespallabob? E poi perchè non provi a pronunciare il nome in inglese, che se gli dici Buzzo -così come si scrive – magari poi si offende? I Fantomas stanno troppo avanti per me: un modo gentile per dire che non li capisco, e mi hanno fatto abbastanza schifo, detto con una metafora ardita. Il batterista si arrocca dietro una fortezza di percussioni, charleston, casse e grancasse. Per smontarla ci hanno messo una mezz’ora buona. Patton è posseduto, urla, strepita, fa versi, ammicca, smanetta le sue macchinette, intona canti a satana e dirige l’orchestra. La musica (?) che ne scaturisce è un coacervo di punk, operetta, noise, metal, pop, industrial, concrete music e altri duecento generi. Il tutto frullato insieme, con effetto piuttosto pesante per lo stomaco. Quei poveri ragazzi lì davanti nemmeno riuscivano a pogare, che appena partiva un riff adatto era già finito e cominciava un assolo di batteria interminabile o un latrato agghiacciante. Suonano mezz’ora che sembra non finire mai. La cosa che ho preferito è stata la presentazione  della band, in impeccabile italiano, che ha fatto Mike Pattton nel finale "Il cugino di Rocco Siffredi (batterista), il fratello di Renato Zero (Buzzo), un’incrocio fra Asia Argento e Pierino (bassista)". Rispetto ai Fantomas i SY suonano easy-listening, sia chiaro. Estenuanti.

Sonic Family

Poi, dopo ulteriore lunga attesa tocca a loro, la famiglia Sonica. C’è Jim, il cugino silenzioso, ha la giacca all’inizio, se la mette e se la toglie più volte, sembra per quasi tutto il concerto abbastanza sulle sue. Poi sul finale rumoroso abbandona ogni contegno, si spettina, suda, si sbraccia, assume un’espresione stravolta, si piega a terra sullo strumento e lo stupra cacciandone suoni lancinanti, scuotendola, sbattendola a terra facendo passare tra le corde un nastro metallico giallo, tipo metro da falegname. Schizophrenia.

C’è zio Lee, quello simpatico, quello che ti vizia e ti fa assaggiare il vino di nascosto. Sembra il più entusiasta, ripete quanto sia bello essere qui, sorride sempre. I pezzi in cui canta sono quasi tutti i miei preferiti. Anche lui nel crescendo noise si avventa contro l’indifesa chitarra con bacchette da batteria, arco da violino, e ci mancava solo l’alabarda spaziale. Sweet shine.

C’è Steve, il pacioso amico di famiglia, dietro la sua batteria minimale, sembra capitato lì per caso. Se ne sta tutto tranquillo ma fa quello che deve fare come Dio comanda, per tutto il concerto. Vederlo scaraventare a ripetizione sulla batteria un "pezzo di qualcosa" sul finale sonico di Teenage Riot è stato uno show nello show. Peace attack.

Poi ci sono i John e Yoko del noise, Thurston e Kim.

Lui eterno adolescente, capelli perennemente a coprire il volto, è il fratello minore, il talentuoso scavezzacollo. Sembra abbia bevuto, ma sembrava pure a Bologna l’anno scorso. O gli piace il vino emiliano o ci fa. Dev’essere colpa dello zio Lee. Prima di Pattern Recognition cita Bon Jovi, su un paio di code al calor bianco mi viene quasi da chiamare la lega protezione chitarre, che è indicibile (e assolutamente meraviglioso) cosa combina a quei poveri strumenti. Se le struscia ovunque, dal basso ventre all’impalcatura, dalla telecamera di un malcapitato cameraman all’asta del microfono. Le brandisce, le solleva, le trascina  per il palco (stesso numero fatto anche all’independent a settembre scorso), le fa volteggiare. Sul finale indossa una t-shirt lanciata dal pubblico sopra la cinghia della chitarra e un’altra maglietta la stende su un amplificatore. Poi salta, sputa, si rotola, si dimena, si accascia. Finisce il concerto da solo sul palco, con una specie di microfono infilato dentro la bocca che distorceva le sue urla, steso per terra, con la testa che pendeva dal palco, e zio Lee che è andato a suonargli dei campanacci metallici sopra. E’ il mio Dio personale della serata, e non solo. Kool thing.

Lei, algida, vestitino giropassera, sguardo severo, splendida. Kim è ovviamente la mamma. Quando attacca il primo pezzo "I love you golden blue" il microfono fa le bizze, si volta spesso a cercare un fonico che non si presenta, e subito si stranisce. Nel frattempo gli imbecilli (si perchè i giovani sono anche spesso imbecilli, lo siamo stati tutti chi più chi meno) iniziano a tirare bottigliette verso il palco. Kim allora si irrigidisce ulteriormente, e compie il gesto altrettanto poco carino di tirarcela aindietro, seppure con grazia. Spesso sul palco arrivano spruzzate d’acqua, tappi di bottiglia e altri oggetti non contundenti, ma fastidiosi. Loro che suonano da tempo immemore e hanno affrontato palchi ben più difficili, lo sanno che è solo amore. Perchè di amore profondo si tratta, dichiarato, urlato, esplicito. Però secondo me gli ha dato fastidio, soprattutto a lei. Si è ammorbidita solo sul finale, quando tutti urlavano Sonic Youth Sonic Youth, si è fatta un po’ da parte e ha sorriso, proprio come sorridono le mamme, tenera e orgogliosa, davanti a un pubblico che per la buona metà poteva essere di suoi figli. Che poi i pargoli poghino senza motivo anche su Rain on Tin, si può pure perdonare. The ineffable me.

Report della serata molto migliori di questo si trovano da Gecco e ancora qui (via Pao-lino in inglese), dove c’è anche una scaletta quasi completa , qui delle foto (courtesy of Wild Side, come anche la foto sopra).

update: foto anche qui e qui e qui e qui