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Pavlos

February 13th, 2005 | By benty in Senza categoria | 6 Comments »

Pavlos ha una cinquantina d’anni e se li porta malino. E’ stempiato ma con i capelli ancora lunghi dietro, anche se bianchi e di solito ha la barba lunga. Tre anni fa ha aperto un pub. Pavlos è di Brno, la città di Kundera, per questo tutti lo chiamano il pub del ceco. Lì mi sento a casa: piccolo, squallido, arredamento anonimo e pauperistico, alle pareti delle bruttissime gigantografie disegnate di Guevara, Hendrix, Santana, Ozzy. E’ uno stanzone stretto e lungo, i tavoli sono proprio come quelli dei nostri pub scrausi e delle pizzerie in odor di fallimento, alle pareti ci sono dei pannelli di legno un tempo chiaro. Qui a Salonicco è molto in voga pur essendo lontano dal centro, soprattutto fra i giovani anarchici, per i quali ha un sapore più europeo che balcanico. Ho notato che i posti più malandati ed economici sono sempre affollati dagli anarchici, anche se sono quasi tutti figli della borghesia cittadina. C’è birra alla spina da Pavlos (e qui è abbastanza raro che un bar ce l’abbia) ed è ovviamente una birra ceca, discreta, che si beve in boccali alti e stretti. Si ascolta solo metal, o cose affini, non ci ho mai davvero fatto caso.

L’altra sera ci siamo passati tardissimo, per la birra della staffa, di cui io sono da anni un fautore nonchè teorico. Appena ci sente parlare italiano Pavlos si avvicina, d’altronde c’eravamo solo noi. Per iniziare si dichiara ammiratore del cinema italiano, fan scatenato delle commedie italiane, in particolare di Sordi e di Ciccio e Franco dei quali sostiene di aver visto tutti i film (chissà come si traduce "finisce a schifìo"?). Poi comincia a parlare e non la smetterebbe più. Fino a 23 anni ha vissuto in Cecoslovacchia, in pieno comunismo. Io con uno che aveva vissuto il comunismo non ci avevo parlato mai. Ero dunque pronto ad ascoltare una conferma autorevole di tutti i luoghi comuni che conoscevo sull’argomento: dello splendido ideale mal concretizzato dall’uomo, dello stato opprimente e quasi dittatoriale, dei dirigenti di partito privilegiati, della mancanza di libertà, di morte, miseria, terrore e distruzione. Invece, stando alle parole di Pavlos, testimone oculare, il comunismo che c’era da quelle parti doveva essere una cosa molto diversa, molto più umana. Ci ha raccontato che la gente aveva difficoltà, ma c’era grande solidarietà, che le città erano splendide e non piene di Mac Donald e pornoshop in centro. Che c’erano meno soldi e meno ricchezza ma a tutti era garantito un livello di vita assolutamente decente, una buona istruzione (ho perso il conto delle lingue che parla Pavlos, suo padre era insegnante) e un lavoro. Adesso invece le differenze di reddito nella Repubblica Ceca sono enormi e ci sono un sacco di disperati che finiscono in strada, alimentando spaccio, criminalità, prostituzione, fenomeni prima inesistenti. Così ci ha detto. Lui odia Havel. Quando torna dalle sue parti Pavlos diventa malinconico, non si sente più a casa, non trova più quell’atmosfera di vicinanza con la gente che c’era prima. "Era fantastico, tutti si aiutavano proprio perchè non c’erano soldi, tutti si volevano bene, non c’erano differenze, non c’era ostilità. Noi di natura siamo un popolo amichevole, ci piace stare in compagnia e bere, siamo allegri. Ora non è più così, ma una volta…..io mi sentivo in paradiso. Non so se fosse merito del comunismo o del fatto che avevo venti anni". Poi si alza e ci spilla un’altro giro di birre.