Mamma mamma voglio (ancora) fare il deejay

13 January 2004 | By benty in Senza categoria

Il primo libro che ho iniziato e terminato nel 2004 è quello del signor Eustonstation, Mamma mamma voglio fare il deejay, recuperato dopo una strenua ricerca alla Feltrinelli di Ancona. Era l’ultima copia disponibile in libreria, il che ha forse aggiunto ulteriore piacere all’acquisto. Me la sono accaparrata dopo aver verificato che non ci fossero bollini a celare la maternità dell’opera dell’altrà metà di Euston, che comprerò – credo- alla prossima incursione in terra marchigiana. Il libro di FDL – che ho divorato in meno di tre giorni – ha funzionato per me da vera macchina del tempo. La scrittura godibile e soprattutto i temi trattati mi hanno catapultato indietro negli anni . A quando teenager – dopo anni di ossessive quanto inutili richieste – pretesi ed ottenni per il mio diciottesimo compleanno due giradischi e un mixer. Collegai il tutto ad un impianto stereo vecchissimo, di fabbricazione francese, frutto di un baratto a cui mio padre costrinse qualche parente. Uno stereo così francese (e così vecchio) che sul tasto d’accensione non c’era scritto on/off, ma arrete/marche – dannati sciovinisti. Però funzionava. Fino ad allora mi ero limitato ad appollaiarmi dietro le consolle dei djs locali in discoteca e – in privato – a simulare degli insistiti scratch a tempo ottenuti grattando ogni superficie un minimo ruvida. Credevano fossi matto, e da allora non dovrebbero aver cambiato opinione. Mi ricordo gli innumerevoli pomeriggi passati in cameretta ad esercitarmi per ore , per imparare a mixare in maniera impeccabile e rapida, registrando delle C60 da riascoltare e reincidere mille volte finchè i passaggi fossero divenuti incastri perfetti e impercettibili, fino a che quello che veniva fuori fosse stato, come dice Fabione nel libro, qualcosa di nuovo, un flusso ininterrotto di suono. Il tutto ad un volume da denuncia suonando della musica tamarrissima altrettanto da denuncia (avete presente la peggiore techno commerciale di inizio anni 90?). Il problema vero era che per farci uscire tutto con meno di due milioni avevo ripiegato su due Techincs che non erano i celebri milledue, ferri del mestiere del diggei professionale, bensì -se mi ricordo bene – gli 800 o qualcosa del genere, con trazione a cinghia. Piatti completamente inadatti per un aspirante disc jockey, se si eccettua la presenza sugli stessi del pitch; ma io lo volevo fare da anni, a tutti i costi, ed incurante dell’attrezzatura inadeguata e dell’esiguità del mio repertorio ci provai. Con discreto insuccesso e scarsa perseveranza.

Dai venti anni ad oggi avrò messo i dischi a non più di una trentina di feste , quindi forse tecnicamente non so neanche se poter dire di essere mai stato veramente un dj. Soprattutto le prime performances le ricordo funestate dai più drammatici e disparati inconvenienti tecnici. Nelle parti del libro in cui si parla delle disavventure che possono capitare quando si sta dietro ai piatti, ho ritrovato pressochè la mia biografia professionale , avendole praticamente vissute tutte sulla mia pellaccia. A volte saltava la corrente, a volte l’impianto, a volte il mixer, molto di rado si arrivava a fine serata senza almeno un inghippo di qualche tipo. Ho memoria degli aspri confronti col Mondo Reale: nel pieno di una serata, mentre passavo il filotto vincente ‘Smell like teen spirit, Bullet with butterfly wings e Killing in the name of ‘ un tizio alterato mi chiese se potevo mettere un pezzo di dj Cirillo e ad una mia risposta cortese ma negativa, il tipo iniziò un ineluttabile sabotaggio al quadro elettrico, che riuscì a devastare un party fin lì riuscito. Ho gli occhi ancora pieni degli amari insuccessi, piste vuote come deserti e rappresentanti di istituto che ti guardano con odio poichè secondo loro sei tu che gli hai mandato a puttane la festa con cui racimolare i soldi per pagarsi la gita del quinto. Le cappelle da dj pivello che si possono fare, puntualmente menzionate in “Mamma mamma voglio fare il deejay”, le ho collezionate quasi tutte. Dall’essere troppo prostituta, capace di cambiare genere musicale ad ogni minima diminuzione di gente sul dancefloor, fino a suonare dischi di merda (che non piacevano neanche a me) ma che avrebbero senz’altro funzionato. Altre volte sono stato troppo ansioso, tanto da far ascoltare al massimo trenta secondi del refrain di ogni disco che avevo, oppure sono stato poco tempista, intestardendomi a proporre un genere che non funzionava (ma che piaceva a me) anche davanti ad una pista desolata; a volte sono stato troppo perfezionista, così concentrato con la ricerca del missaggio perfetto da non poter alzare la testa e prendere atto della (mancata) risposta dell’audience, quasi sempre sono stato un fottuto casinaro, confondendo i dischi e prendendo un mix per i capelli proprio all’ultimo secondo; mi sono preso anche le mie belle dosi di fischi e gli inviti a cambiare mestiere: la cosiddetta dura gavetta. Però, soprattutto a fine carriera, quelle (poche) volte in cui tutto è andato bene, il senso di benessere che mi pervadeva era così potente da durare per giorni, manifestandosi sottoforma di sorriso ebete ed inusuale affabilità. Credo fosse la mia personale concretizzazione del concetto astratto di felicità. Non potrò mai scordare la sensazione di assoluta onnipotenza che si prova davanti alla pista piena di gente entusiasta, che balla, suda, canta ed esulta ad ogni pezzo che passi. E a quei tempi non erano tanti quelli che suonavano impunemente i Marlene oltre alla mia invidiabile collezione di 45 giri dei cartoni animati, il che non smette ancora di rendermi orgoglioso. Il mio "pubblico" preferito era quello delle feste a decisa connotazione alcolica, al termine delle quali non di rado la gente veniva in consolle a farmi i complimenti, ringraziarmi, abbracciarmi e (nei casi più estremi) baciarmi. Con le donne credo sia successo al massimo una volta: purtroppo nel capitolo che Fabio dedica al dj come sex symbol non mi ci sono ritrovato affatto, ma potrebbe anche essere dovuto ad un mio problema personale. E comunque, uomini o donne che fossero, tanto poi il giorno dopo non si sarebbero neanche ricordati di essere andati ad una festa.

Poi col passare del tempo i miei gusti musicali sono scivolati lontano da quelli di chi andava alle feste per ballare, non riuscivo a far collimare i generi che seguivo con quelli da suonare e poco alla volta, fra università, erasmus e amori ellenici, ho smesso. Non ce la facevo a stare al passo con la techno che ascoltavano i diciottenni, e fondamentalmente me ne fottevo, visto che dovevo ancora completare la discografia dei Sonic Youth. Il fatto è che probabilmente non ci ho mai davvero creduto nè investito, rientrando così in quella schiera di djs per hobby che nel libro di FDL vengono un po’ presi di mira. Posso dire che si, era forse solo un hobby e una passioncella, a cui, da post-adolescente squattrinato, mi dedicavo nel tempo libero. Ma a mia discolpa rivendico di averci provato quando le uniche opportunità di farlo erano feste di compleanno di 18 anni e al massimo di qualche liceo, il che limitava le possibilità di scelta. Inoltre ancora la musica a costo zero via internet non esisteva, quindi nel mio piccolo e finchè ho potuto, ho ‘vaschettato’ anch’io in negozi "for djs only" e speso tutto quello che avevo in dischi, ben sapendo in cuor mio che non sarebbe mai diventato un investimento. La categoria dei dj indie, che potevano fare anche una scaletta di solo rock, reggae e affini, senza techno, dalle nostre parti non era ancora stata accettata e locali a cui proporsi come resident non ce ne sono mai stati. E poi c’avevo un gomito che mi faceva contatto col ginocchio.

Mettere i dischi mi appaga tutt’ora così tanto, che quando ho la possibilità di farlo, alle mie condizioni, rinuncio volentieri a partecipare alla festa per mettermi dietro i piatti, cosa che feci fra sguardi perplessi anche in occasione della mia festa di laurea. E non è che bere e divertirmi non mi piaccia, come avrete intuito dal resto del blog. La soddisfazione di essere riuscito a condividere con altre 30, 100, 500 persone (platea massima di fronte a cui mi sono esibito,alla festa di fine anno di un liceo) la mia passione per la musica, l’averli coinvolti e fatti ballare e pogare sono, come dice Fabione, la seconda cosa più bella della vita. Di ciò sono ancora convinto. Se questo libro fosse stato scritto 13 o 14 anni fa sarebbe con tutta probabilità diventato la mia bibbia e forse mi avrebbe aiutato a mantenere quel coraggio e quelle motivazioni per continuare, visto l’entusiasmo che è riuscito ad infondermi anche adesso a tanti anni di distanza. Credo che cercherò più o meno consciamente per sempre di fare qualcosa che mi dia lo stesso brivido di quando metto i dischi, temo senza riuscire a trovare nulla di simile. E comunque ho iniziato a pensare che se ti senti dj per un periodo della tua vita, lo sarai – romanticamente – per sempre, un po’ quello che dicono succeda quando sei scout o prete. In tutti i locali che frequento resto sempre con le orecchie ben aperte pensando come suonerebbe quel certo brano dentro la mia eventuale playlist. Il mio sogno ricorrente è comprarmi un paio di cdj, da qualche anno. E poi sono da un anno e mezzo alla ricerca di un posto da resident in qualche cacchio di bar in questa città, e vedrai che alla fine… No mamma, la testa a posto non l’ho messa anche se mi sono laureato, sennò non sarei qui, peraltro. Si mamma, voglio ancora fare il deejay.

9 Comments on “Mamma mamma voglio (ancora) fare il deejay”

  1. embè, la playlist della tua festa di laurea (che emerge in maniera del tutto sfocata dai miei ricordi etilici) mi ricordo che era di un certo tipo…e anche di un certo livello (se non mi sbaglio cera l’immancabile killin in the name e marlene a rotta di collo). ad ogni modo, niente a che vedere con quanto mettono su i soliti (il solito?) deejay semi- professionali dell’anello del giano…
    va bè, per sta sviolinata, famo un par de birre quando torni…
    ila

     

  2. lo vedete che c’avevo anche dei fans ?! Ila, birre pagate al mio ritorno 🙂

     

  3. uh, dopo questo post indietrista mi e` venuta voglia di leggere il libro anche a me

     

  4. continuo a pensare all’hobbistica come l’inizio e la fine di malanni e dolcezze. ogni professione porta ancora le tracce della più antica del mondo.

     

  5. pensando a quei tempi passati, quando io ero l’ amico del fratello del diggiei, quando mi muovevo con movimenti a volte spocchiosi per dimostrare a tutta la platea che il diggiei era mio amico.. ah che tempi di merda!! sei stao, sei e sempre sarai il nostro diggiei preferito e la tua performance alla ormai leggendaria festa di laurea ( parlo di quando facevi il diggiei, non quando sei andato in camera con quelle tre biondone ) rimarrà neghli annali, come la sbornia de kape. non mollare mai!!!!

     

  6. sono commosso…io ho iniziato con le stesse motivazioni quando avevo 14/15 anni massimo…stessi tentativi maldestri di scratch, stessi piatti scrausi (i miei erano dei marantz con pitch a rotella!) e ho perseverato e faccio ancora il dj….non sono milionario come i dj di cui parla fabio nel libro ma mi mantengo (a volte a stento a volte bene!)…..oggi a 31 anni per me il sogno continua (speriamo non ci sia un brusco risveglio!)…e fare il dj é il lavoro più bello del mondo!
    ciao
    alex

     

  7. premesso che odio i dj, il post è carino. fosse stato appena più corto, forse arrivavo anche in fondo. ossequi. sanchez.

     

  8. questo post è bellissimo 🙂 e poi è tanto che vorrei leggere quel libro.. mi hai fatto tornare in mente di cercarlo… anche io appena compiuti 18 anni ho ricevuto la console.. non è molto tra l’altro, anche se il mio sogno risale a diverso tempo fa… sono stata più fortunata anche se ho due cdj (i giradischi me li comprerò prima o poi se riuscirò a mettere da parte i soldi -.- mitici technics :°))

    comunque se la musica, passare i dischi ti appassiona così tanto fai bene a continuare a cercare.. certe cose sono profondamente radicate in noi.. destinate a restarci dentro e a rivelarsi in certi momenti della vita.. ma è certo che se a muoverti è una passione tanto grande difficilmente ti passa per sempre.. 😉

    un saluto e buona fortuna.. chissà chi trova prima un localino in cui proporsi! ehehe.. potrebbe essere una bella sfida! 🙂

    claudia

     

  9. ehm il post è vecchiotto. adesso suono in due bar. never give up !!!