Pulp nights, una storia a orologeria

18 November 2006 | By benty in Senza categoria

Prima, quando ancora lavoravo solo al Kika, ci fu una trattativa serrata, a base di lusinghe economiche. Io ho sempre troppo pudore a chiedere soldi per mettere i dischi. Dico sempre che non c’è problema, poi ci si mette d’accordo. ‘Sta cosa che mi pagano per girare dischi e mi fanno pure bere gratis non smette ancora di stupirmi dopo tanti anni. Ma fu Ritis in persona, (abbreviazione di Margaritis letteralmente Margherito, magia dei nomi greci ndB) il capo del Pulp, a suo tempo boss del Casablanca a insistere per strapparmi alla concorrenza. Mi voleva lì il sabato, cercava qualcuno che suonasse proprio quel certo tipo di musica, diceva che avremmo fatto grandi cose insieme (non vi ricorda niente, oh miei fedeli lettori?). E così fu. Convinsi il padrone del Kika a farmi spostare la serata al venerdì, il che comportò inizialmente una dominuzione dei clienti ai miei set, e successivamente  un conseguente ridimensionamento degli emolumenti. Va be’, se tanto vado a guadagnarne in totale il doppio si può anche accettare. Questo pensai, ingordo e avido che non ero altro. Ed ecco a voi le mie Pulp night,  serate a tiratura limitata.

Numero uno

Un esordio così deserto non si era mai visto. Imbarazzo palpabile, addirittura incoraggiamenti del proprietario a fine serata. "Il bar è nuovo, la gente deve ancora conoscerlo. Vedrai verranno, ma tu non buttarti giù, mi raccomando, non penserai mica che sia colpa tua?". Questo egli mi disse. Confortante.

Numero due

Nonostante l’opera di moderato martellamento mediatico via sms del diggei in apprensione agli amici più fidati, pressochè nessuno si presentò neppure il sabato successivo al debutto. Solita clientela minimale, ovvero quellli fissi, che poi non sono diversi da quei loser del Casablanca, semplicemente trasposti in centro. Il capo ancora infonde coraggio e paga, la mia fidanzata appena giunta dall’Italia appassisce di sonno per tutta la sera al bancone, sorseggiando paziente il Porto più cotoso della storia del Portogallo. Non basta dedicarle canzoni su canzoni a evitare i suoi sbadigli. Eroica.

Numero tre

Di mio porto un paio di ex studentesse, che si presentano senza nemmeno una compagnia a supportarle e consumare superalcolici a bancone, per giustificare il mio stipendio d’oro. Per il resto l’usuale desolazione. Il bar proprio non tira. Sarà l’arredamento da bordello di inizio secolo, penso ignaro. Iniziano a circolare voci che i venerdì il locale sia invece strapieno e ci si diverta da matti fra balli, orge e sacrifici di vergini fino alle sette di mattina. Non me ne capacito, ogni volta che ci passo davanti sembra semivuoto. Puntuali come la morte arrivano le prime lamentele per dieci minuti di ritardo all’arrivo ( a bar ancora praticamente chiuso) e a seguire una qual certa diminuzione di calorosità nei saluti di arrivederci. Inquietante. A fine serata (si finisce un sacco presto al Pulp, non essendoci clientela) di solito me ne vado al Kika per rassicurarmi che almeno lì il sabato, ovvero quando non ci suono, non succeda il finimondo. Nella mia testa significherebbe che allora se non c’è gente è tutta colpa mia e della mia musica. Capro espiatorio.

Numero quattro

La svolta. Una mia amica decide di organizzare la sua festa di compleanno proprio al Pulp, sapendo che ci sarò io a suonare. Quindi riempio il locale praticamente da solo, di gente che si diverte, balla, canta e soprattutto beve. Il volto del capo che mi sembrava scurirsi nelle ultime settimane di tristezza, torna ad illuminarsi, i clienti fissi di solito moscissimi iniziano a sorridere, gli sfinnakia a scorrere, le cose a girare per il verso giusto, le caprette ci fanno ciao. Addirittura dietro il bancone si accennano passi di danza, le cameriere sospirano canticchiando i Cure e Ritis, il capo chiamato Margherito, diviene un fiore d’uomo (battuta a cura del FNBS, fronte nazionale della battuta scontata), ed elogia apertamente l’operato del bravo diggei che fa danzare i simpatici clienti. Incantevole. 

Numero cinque

Il boss manca, è in viaggio in Germania, ricomincia l’abituale latitanza di avventori. Mi ritrovo con la barista, sua amica con diritto* e la cameriera. La desolazione è tale che la cameriera inizia a raccontarmi barzellette per far passare il tempo. Purtroppo non sono mai stato bravo a sfoderare risate finte, ma faccio del mio meglio. A un certo punto il bar è così vuoto che ho l’impressione che se ne sia andato pure il personale. Verso le tre si popola. Prima due ragazze. Poi altre due. Poi altre due. Poi ovviamente basta. Nel locale ci siamo io e otto donne per cui metto musica. Felliniano.

Numero sei

Prima del sabato numero sei occorre menzionare che vengo in settimana contattato dal capo di ritorno dalla trasferta tedesca, via sms. Mi fa "Appena puoi passa dal locale che dobbiamo parlare". Lo chiamo e lui nicchia, "Dobbiamo parlare", insiste. "Eh ma infatti ti ho chiamato, parlare è una di quelle cose che si può fare anche al telefono", dico io che manco per il cazzo ci voglio passare durante la settimana e odoro puzza di bruciato. "No dai passa". Evabbè. "Ma non ti allarmare, è solo una discussione per fare il punto della situazione che sto avendo con tutti i dj che suonano qui, niente di che". Se lo dici tu. Fattostà che una sera ci passo, il locale alle due meno un quarto sta già miseramente chiudendo, gli sgabelli giacciono già rassegnati sopra il bancone. E lui mi fa "Senti, le cose non vanno mica tanto bene. (ah si? credevo che ambissi a mantenere il locale vuoto seguendo le ultime tendenze newyorkesi, in cui i bar trendy sono quelli deserti e tristi ndB) Mi aspettavo che mi portassi almeno quattro o cinque persone fisse il sabato, con tutta la gente che conosci, con tutti gli studenti che hai, con tutti quelli che portavi al Kika. E invece i sabati in cui suoni tu abbiamo fatto i peggiori incassi da quando abbiamo cominciato. Tutti gli altri dj mi portano i loro gruppi di amici, qui il venerdì si finisce sempre le sei di mattina. Io ti pago più di tutti gli altri, io ho creduto in te (non vi ricorda proprio niente, oh miei fedeli lettori?), quando ti ho preso credevo fossi il Ronaldinho dei dj (testuale ndr) e invece … Con questo non voglio dire che sia colpa tua, per carità, ma non ci rientro con le spese con quello che ti pago. Adesso vediamo ancora un po’ come va, ma bisogna che ti dai da fare a portar clienti, se le cose non migliorano bisogna trovare una soluzione". A nulla valgono i miei tentativi di autodifesa che si appoggiano su argomentazioni inattaccabili quali: i miei amici te li ho portati l’altra volta, la gente è strana e cattiva, il bar è nuovo e io sono straniero, piccolo, solo, triste, incompreso e mi mancano la mamma e la pizza con la sfoglia sottile come si fa da noi. E poi le cavallette.

Con questo stato d’animo dell’imputato in attesa di sentenza mi reco il sabato numero sei a dispensare musiche. Per i primi cinque minuti devo aver anche pensato che forse non me ne andava poi nemmeno tanto di suonare, ma tanto lo so, dopo i primi tre pezzi mi dimentico di tutto o quasi. La serata va bene perchè si festeggia un altro compleanno, non riconducibile ai miei contatti stavolta. I sorrisi dell’uomo chiamato Margarito sono di facciata e me ne accorgo. Ma la gente si diverte con la mia musica, chiede informazioni sulle canzoni, si spertica in complimenti. Sorseggiando l’ultima birra penso a riconfigurare la mia professionalità, da semplice dj a dj/p. r. Ma è un attimo di debolezza : mi rido in faccia da solo. Verranno qui se ne hanno voglia, io non mi metto a implorare nessuno, al limite informo chi me lo chiede sul posto dove suono, i clienti trovateli tu, il mio lavoro è metter dischi. Questo penso, mentre prosciugo l’ultimo boccale. Temerario

Numero sette

Quando arrivo il Margherito si lamenta nuovamente della puntualità, anche se sono in perfetto orario. Era la prima serata senza la compianta valigetta peraltro, e già non ero proprio di buonumore, diciamo. Solita serata di pienone, ma purtroppo in tutti gli altri bar della città. Al Pulp a parte il dj ci sono i soliti quattro sfigati. Nel mezzo della tristezza montante mi conforta vedere che almeno sono riuscito a portare sei persone mie, nelle dieci totali che fa la seratona. E restano pure fino a tardi. Almeno la coscienza ce l’ho a posto per oggi e non esco come un ladro dal Pulp, con la sensazione d’aver rubato i soldi del mio stratosferico compenso. Per la prima volta si evidenziano apertamente i segni dell’insofferenza della dirigenza che si traducono in boccali di birra riempiti di malavoglia e anche in critiche ai generi musicali proposti. L’apice si raggiunge con un dialogo più o meno simile a questo

– Ritis: Perchè non metti un po’ di Rock?

-Benty: Veramente questo pezzo rientrerebbe nel grande universo di quello che molti chiamano "Rock"

-Ritis: Ma non lo so, qualcosa tipo i Sonic Youth

-Benty: Ma questi sono i Sonic Youth

-Ritis: Si ma dai, metti il Rock che alla gente che abbiamo stasera (4 persone al bancone ndB), piace

– Benty : …

Esco dal Pulp fra l’indifferenza, saluto sbadigliando. Sento che la fine è vicina, e adesso poi il mio dolore è tutto rivolto alla perdita dei miei 160 cd. Che mi cacciassero se non gli vado bene. Fatalista.

E infatti il lunedì mattina, la damoclea spada infine trafigge, fredda, dolorosa, ma tutt’altro che inattesa. Mi ha scaricato per telefono Margherito, come se fra noi non ci fosse stato mai nulla, con un tono metallico standard (cit). Ha detto che non vuole più continuare, che non era colpa mia, ma nemmeno sua, che ormai che erano due mesi che le cose andavano male, anche se invece era solo un mese e mezzo e questo significa che non si sarebbe ricordato nemmeno del nostro anniversario. I soliti insensibili gli uomini. Io gli ho detto solo, va bene, come vuoi. Poco male ho pensato, si chiude una porta si apre un portone, morto un papa se ne fa un altro, chiodo scaccia chiodo. Il martedì sera m’è venuta la febbre a trentotto.

Amica con diritto* : il diritto di scoparsela di tanto in tanto.

8 Comments on “Pulp nights, una storia a orologeria”

  1. mi hai convinto: ti assumo per la prossima stagione del Calexico.

     

  2. anche berlusconi scaricò tabarez e terim per telefono

    comunque lascia perdere il dj residence, fai come me, solo on demand

     

  3. i dj set del kika, spaccavano. nel senso che erano belli davvero. forse io sono anche un po’ di parte, dato che a quel posto ci lego tante serate che non si dimenticano. ma qualche altro baraccio di tk sarà già pronto ad accogliere il dj italiano più alcolizzato di grecia, son sicuro. grande benty. salonicco torno presto.

     

  4. Teribbile. (OT, a proposito dei “Benty old days” linkati: ma quelli dell’Aiesec sono davvero ciellini come sembrano dalla descrizione?)

     

  5. Io mi ricordo ancora la prima volta che misi i dischi a un pub di redskins, che hanno addirittura apprezzato. Ho rotto così tanto il cazzo a tutti i conoscenti che il locale era pieno. Non mi aspettavo soldi, anzi pensavo pure di pagare gli alcolici.

    A fine serata il proprietario, un mio amico, apre la cassa e mi da 30 euro. Considerando che mi ha scalato 70 di alcolici fui commosso.

    comunque ha ragione enver, lascia perdere il dj residence, è stressante il rapporto costante coi gestori dei locali.

     

  6. mah, dipende se sono persone corrette o meno i gestori del locale…

    mi e’ capitato di incontrarne di entrambi i tipi… ovviamente quelli seri sono ancora aperti, un paio di gestori di locali stronzi hanno chiuso :-))

    e’ possibile che il gestore del pulp faccia la stessa fine…

     

  7. che poi senza volergliela tirare (al gestore del pulp), piu’ probabilmente appartiene alla categoria “tipi senza le idee chiare”…

     

  8. Spero che almeno concludessi tutti i set con Common People