Strisce bianche a Salonicco

13 July 2005 | By benty in Senza categoria

You got a reaction. Didn’t you?

(a noi ce piace er roccherolle)

L’evento musicale degli ultimi anni, in città, è questo. Non si tratta di un artista bollito, che viene da noi poveracci a digiuno di concerti ad arrotondare. Non si tratta di una reunion, più o meno triste. Non si tratta di un gruppo conosciuto a pochi. No. Si tratta dei White Stripes, la band del momento, a livello mondiale. L’ultimo gruppo a lanciare, via MTV, un anthem generazionale, dai tempi – credo – dei Nirvana. Mica bazzecole. E non si accontentano di venire per la prima volta in Grecia, che già da dire ce ne sarebbe. I signori Bianco cominciano da Salonicco. Ora, voi che abitate le province più indie dell’impero e siete avvezzi ai migliori concerti a prezzi irrisori, dovete sapere come stanno qui le cose. I concerti si strapagano, e a questo ci siamo tutti rassegnati. 38 euro per i White Stripes li dai quasi volentieri, se ne hai dati 30 euro per i Radio 4. Ma non basta. Se vengono – i gruppi – , passano da Atene, col cacchio che gli viene in mente di visitare la periferia della periferia, tipo Salonicco. Gli artisti vengono qui, in Grecia, l’est europeo prima dell’est europeo, e concedono un minimo sindacale. Ancora riecheggiano nella mia mente recensioni di concerti ad Atene sotto il limite del vergognoso. Si suona quanto meno possibile e lo si fa come fosse un piacere, anzi un dispetto. Non scherzo: il pubblico qui, è abituato a questo. Ed io, memore di tali antefatti mi appresto al concerto, primo in Grecia, dei White Stripes. Che non vengono a promuovere un best of. No no. Vengono proprio qui, apposta, per farci sentire il nuovo discusso album, Get Behind me Satan, di fresca uscita. Proprio a Salonicco. Non ci crede nessuno. Nemmeno io.

Punto di incontro casa mia, per l’occasione ben fornita di lattine di birra gelate da mezzo litro. Il concerto si terrà al teatro Gis, all’aperto. Dicono che i cancelli apriranno alle sette e mezza, e che il concerto, privo di gruppi spalla, comincerà alle nove. Noi, profondi conoscitori dei ritmi greci, usciamo di casa alle otto e mezza e quando parcheggiamo ci accorgiamo del vuoto. Alla fine io stimo 4000 presenze, ma si mormora in giro mooooolto meno. Prima delle dieci i cancelli non apriranno. Prima delle dieci e tre quarti il concerto non inizia. In mezzo tanta birra. Ma tanta. E poi, improvvisamente, Giacomo e Margherita Bianco on stage.

L’attacco è davvero violento, un uno due con Black Math (ma sei sicuro? No guarda che era  Why can’t you be nicer to me – vabbè poteva anche essere Let’s build a home – ma no dai, quella l’hanno fatta dopo – ma sei sicuro che l’hanno fatta? – ma ti dico di si- cioè secondo te mezzo De Stijl – eh si –  non è che si capiva granchè nella bolgia – no guarda per me era Black math) e Dead Leaves. Poi blue Orchid, che – dite quello che vi pare – dal vivo è pura brutalità ledzeppeliniana. In seguito arriva la pluriperformata cover di Dolly Parton, Jolene – e non calma affatto gli animi. Però in realtà, l’atmosfera, se non fosse per la sabbia che si alza, sarebbe assolutamente vivibile. Pogo si, ma composto, quasi da vergognarsi. Il sabba a base di rock&blues inizia. I due non si fermano un secondo. Non esiste il concetto di pausa fra un pezzo e l’altro. Forse avevano fretta, sailcazzo. Fattostà che Jack parla due volte per tre secondi e mischia pezzi in stile medlley, uno via l’altro, che poi per il povero blogger presenzialista, già provato dagli eccessi alcolici, stilare una scaletta diviene impresa improba (ma dì la verità che White Blood Cells l’hai rispolverato oggi dopo quattro anni!) . La reazione della gente continua ad essere veemente ma civile. Su The Nurse, non riusciamo a capire da dove cazzo sbuchi la chitarra, visto che Jack suona lo xilofono, o qualcosa di simile. Ci diranno dopo che faceva tutto lui con un pedale, e che l’hanno visto da lontano. My Doorbell purtroppo non la fanno, che a me piaceva tanto. Jack, carnagionebiancolatte-mezzatubaintesta-baffettosatanico-pizzetto-capellingelatinati- cheamemiricordanoMichaelJackson – , si divide fra chitarre varie, suonate anche slide, piano e microfoni sparsi sulla scena. E’ il mattatore assoluto, regge il palco in maniera impressionante, catalizzando su di sè tutte le attenzioni, dettando il ritmo, muovendosi il giusto da una parte all’altra. Un mostro. A me Jack mi piace, che ci ha pure le maniglie dell’ammore, eppure si ostina a indossare magliettine attillate. Alla fine sembra avere una apparenza umana, nonostante la presenza scenica soprannaturale e l’insopportabile hype che lo circonda. Meg sta lì: ogni tanto viene gratificata dal fratellone, che sembra – a tratti – suonare solo per lei. Intanto pesta le sue pelli, piegando il capo in segno di partecipazione, blusa bianca e pantalone nero rosso. Io non ci ho i mezzi per fare paralleli coi Kraftwerk come Fabione. Il duo detroitiano suona semplicemente del sanissimo "homemade roccherolle", zuppo di blues e con tracce di folk. Minimali nella presenza, debordanti nella performance. Il finale tagliagambe della prima parte del concerto consiste di Hardest button to button, Hotel Yorba (oh my God!) e I just don’t know what to do with myself, che fa scattare l’effetto karaoke. Si scatena un sacrosanto panico fra le prime file. I signori Bianco ci lasciano cantare tranquilli i chorus, accompagnandoci volentieri con batteria indolente e chitarra iperattiva. Avranno già suonato venticinque pezzi, chi ci capisce più una mazza. L’encore inizia con You are pretty good looking. Nel finale Jack torna al piano per Forever for her (is over for me). La chiusura è tutta per l’anthem di cui sopra, prima di cui Jack ringrazia tutti, che – dice – è la prima volta che vengo in Grecia e mi avete fatto stare bene – o una cosa del genere. Poi, imbracciata la chitarra che sembra ingannevolmente semiacustica, parte "il Riff". E consequenziale previdibilissima bolgia. Abbastanza sorprendente – ma forse anche no –  è che il pubblico entusiasta, come poche altre volte mi era capitato di vedere da ‘ste parti, continua per due minuti buoni a intonare "Oooh oh oh oh oh oooohh ooooohh" battendo le mani, dopo che i due hanno lasciato il palco, inchinandosi ripetutamente. Meg continua a barricarsi nel suo mutismo. Jack parla anche per lei "Thanks from my sister". Ma non ci crede nessuno.

Terminiamo sudati ma soddisfatti, (s)travolti da inaspettato impeto e fisicità, noi che ci prefiguravamo un duo posticcio, tutto mestiere e basi preregistrare. Col cazzo. Sti due sono veri, dal vivo spaccano proprio, se non ci credete fatevi un giro, poi mi dite. Abbiamo finito come avevamo iniziato, bevendo birre e connettendo il fenomeno White Stripes alla feconda scena drone-tronica finlandese  (vedi post precedenti), come nostro solito.

Setlist, raccattata in giro, che evidentemente non coincide col concerto che ho visto io, tant’è

Black Math
Dead Leaves & The Dirty Ground
When I hear My Name
Blue Orchid
Jolene
I’m Finding It Harder To Be A Gentleman
(blank)
Same Boy You’ve Always Known
Red Rain
Death Letter
(blank)
The Nurse
Apple Blossom
(blank)
Let’s Shake Hands
The Hardest Button To Button
Hotel Yorba
I Just Don’t Know What To Do With Myself

encore

You’re pretty Good Looking
Hello Operator
Astro/Jack the Ripper
The Big Three Killed My Baby

7 Nation Army

6 Comments on “Strisce bianche a Salonicco”

  1. ormai la Fi…nlandia dilaga. Ah, fratello: se non sei introdotto, sappi che in ItaGlia il coro su 7N.Army è ormai da discoteca. Più umano, più vero

     

  2. io in discoteca non ci vado Enver. credevo neppure tu. vederlo fare da 3000 e passa persone acapella, a palco vuoto, per due minuti dopo un concerto devastante, a me ha fatto effetto.

     

  3. ah, e poi, cosa sono tutte queste allusioni? ai doppi sensi? a questo siamo arrivati? (temo di si)

     

  4. invidio tutto! tranne quando avete parlato di avanguardia finlandese…

     

  5. non a tutti piace boss, noi ne andiamo matti

     

  6. chiaro che non ci vado. Però le cose si sanno. Ne è stato tratto perfino un remix. In soulseek ci sono anche i remix techno. Su. Arriva arriva quello che deve arrivare, non ti preoccupare

    (la jazztronica finnica è patrimonio dell’umanità. come le due branche dell’ambient canadese, la Wanda e la Luisa di masciana memoria)