Steve Wynn a Salonicco. Insomma.

31 May 2005 | By benty in Senza categoria

Cominciamo male, perchè in macchina imbarchiamo il temutissimo Iannis. Un quarantenne fissato col passato, pozzo di conoscenze archeo-musicali, dj eclettico che nel suo bar si permette di suonare da Zappa a canti tradizionali della mafia, e te lo fa pesare. Parecchio tendente al "si stava meglio quando si stava peggio" o al "ai miei tempi era tutta un’altra cosa", e soprattutto vige il tacito veto a esprimere apprezzamento per produzioni o gruppi degli ultimi 20 anni. Praticamente un incubo, come vedere la propria patetica immagine futura proiettata allo specchio. Quindi tutto il pur breve tragitto di andata ci dobbiamo sorbire le sue reminescenze dei suoi precedenti 14 concerti fra Dream Syndicate e Steve Wynn. Ve l’ho detto, comincia male.

Non continua meglio, perchè l’altro sodale, l’amico Tolis, ha deciso che, nonostante il caldo, nonostante il concerto si terrà al chiuso, nonostante l’indomani sarebbe andato a lavorare la mattina presto, c’era assolutamente bisogno di imboscare una di quelle bottigliette da alcolisti di cognac. Indovinate il sorteggiato a imbucarla con la sua merda di borsello spillettato? Alla biglietteria testa bassa, sventolo il biglietto, lo staccano, entro. Poi sento una mano sulla spalla. Ecco ci siamo, beccato di nuovo. E io che manco lo volevo bere, porcatroia. Per fortuna invece era solo Nikos, il bigliettaio, vecchio amico e giovane esponente politico che mi ha riconosciuto. Nikos è uno che sta organizzando la rivoluzione coi social forum locali. Il sollievo per non essere stato sgamato mi fa sciogliere in baci e abbracci che in altre occasioni mi sarei risparmiato. Come sempre mi accomiato col rituale "Oh, quando comincia la rivoluzione fammi uno squillo, mi raccomando eh?".

Dentro il Mylos l’età media è alta in maniera inquietante. Prevalgono i look "pelata-così-do-un-tono-trendy-all’incipente-calvizie" e il "capello-lungo-da-rocker-fuori-tempo-massimo-con la maglietta-dei-Ramones". La seconda categoria potrebbe essere presente anche in virtù del gruppo di spalla, che suona un pedissequo garage-punk. O almeno quello si capisce fuori dal locale, che noi entriamo solo quando lo strazio ha termine. Fortunatamente la gente non è molta, altrimenti saremmo morti per asfissìa, che il sistema di aerazione del locale sussiste in due eliche che dovrebbero fare vento. Un po’ pochino.

Steve Wynn and the Miracle 3 entrano in scena verso le 23.30 e diffondono subito tanta giovialità dal palco. I Miracles sono tre giovani. Uno, il bassista, con un imbarazzante caschetto biondo alla Brian Jones, ( o se preferite alla Caterina Caselli) ma con una faccia da nerd. L’unica cosa peggiore del caschetto credo fosse la canottiera a V sfoggiata con noncuranza sotto la camicia aperta. Uno, il virtuoso chitarrista, con un caspo di capelli ricci imbizzarrito. La batterista è l’unica normale, brava e pure carina a dirla tutta.

Spiace doversi stare a giustificare ogniqualvolta si parla di musica, ma di nuovo emergono le mie imbarazzanti lacune (dice, ma allora perchè insisti a scriverne? rispondo:bella domanda). Io i Dream Syndicate non li ho mai ascoltati, scoraggiato da un paio di pezzi che non avevo trovato particolarmente interessanti. Non ne sapevo granchè di Paisley underground, nè di neo-psichedelia. Quel folk elettrificato e accelerato che mi ha sempre abbastanza annoiato, seppure interpretato da mammasantissima tipo Young o Dylan. Occorrerebbe contestualizzare, ma non me la sento, mi limito ai miei giudizi superficiali, e quelli toccano pure a voi. L’inizio del concerto, con brani estratti dalle ultime fatiche di Mr. Wynn, mi conferma le impressioni dei miei svogliati ascolti casalinghi. Rock sporcato di umori southern, scarso di personalità e per nulla originale, canzoni basate su riff banalotti e di lunghezza estenuante. E che già siamo alla rivalutazione dei Black Crowes? Se devo impolverarmi nelle routes ammeregane del sud preferisco farmi accompagnare da Mark Lanegan, che almeno ci ha una voce che ti fa tremare le palle. Purtroppo essere circondati da fan terminali di Wynn, significa dover fingere esaltazione a prescindere dalla propia noia. Tolis mi fa "Senti questa, è Anphetamine". Sorrido, annuisco, per me poteva pure chiamarsi Valeriana. Particolarmente fastidiosi gli atteggiamenti da guitar hero del giovanotto riccio, che si esibisce in una serie di pose da campionato di air guitar, a volte si thurstonmooreizza accasciandosi lascivo sulle casse, e non indugia a infilare in ogni pezzo almeno un paio di interminabili assoli. Si vabbè, sei tecnicamente bravo, l’abbiamo capito, però dacci un taglio, Cristo. Sarà che il tipo di rock proposto dal quartetto non è proprio my cup of tortellini pasticciati, boh. Quando alzano i ritmi, fino a lambire il garage-punk, il concerto si fa più divertente, si ballicchia, sul palco hanno tutta l’aria di divertirsi da matti e infatti stentano ad abbandonare la scena. Tornano per un paio di encore, e lasciano la scelta degli ultimi brani al pubblico, oramai in visibilio. Terminano con una versione di Boston incendiaria, a cui l’audience risponde con ovazioni. Fra quelle che ricordo hanno fatto Burn, Something to remember me by, Southern california line, Smash myself to bits, When you smile, Death Valley rain (credo in apertura), There will come a day . Ottimo Wynn da solo, con la chitarra, a proporci un brano lento a me tutt’ora ignoto.

Quando facciamo per andarcene la platea rumoreggia ancora esaltata, chiede a gran voce i Ramones che vengono subito dispensati a piene mani dal dj locale. Cerchiamo Iannis, e lo troviamo a centropista: è stravolto, a torso nudo, ventre prominente e sudaticcio, capelli brizzolati fuori controllo, occhi spiritati, tattoos in bella mostra, se ne sta lì a pogare coi suoi simili/coetanei, brandendo una birra, braccia in alto e andare, tutti in coro, come a diciott’anni, quella volta ad Atene, ti ricordi? "Ehi ho, Let’s go". Una scena paurosa e straziante. Facciamo che stavolta si prende un taxi per tornarsene a casa.

Qui un po’ di mp3 di un live di Steve Wynn

8 Comments on “Steve Wynn a Salonicco. Insomma.”

  1. Ecco, la cosa che mi inquieta e preoccupa è che mancano solo una decina di anni e poi saremo noi Iannis..

     

  2. (ero io. io che odio splinder e splinder odia me.)

    A.30mo

     

  3. ma(e) ch’chezz d’noum c’hann’st’grec’? Ignis, Idris, Demichelis? (grazie per i tuoi sprazzi di genio odierni)

     

  4. antò, ma che davero davero secondo te si diventa come iannis? che forse siamo in tempo a smettere…

    [enzop, mò mi loggo, sì]

     

  5. beh, Enzo, noi rimembreremo altre musiche… e poi la pancia ce l’avrete voi! 😉 voi gridavate cose orrende, e voi siete imbruttivi. io urlavo cose bellissime, e ora sono uno splendido Quarantenne!

     

  6. Enzoppì, dipende tutto da quale chirurgo estetico sceglieremo. Io sto già informandomi.

    A.30mo

     

  7. la pancia viene (ma io ce l’avevo già), ma l’entusiasmo e la voglia di conoscere possono restare intatte (tra un pisolino e l’altro…)

     

  8. non è la pancia o i capelli brizzolati che spaventano. è l’immagine di una persona cristallizzata a vent’anni prima, che rifiuta in blocco la musica attuale come anche il sè stesso attuale. credo esista per tutti un’età dell’oro, un periodo preferito musicale, che spesso coincide con quello della propria gioventù, quando è più automatico legare alle prime conoscenze musicali momenti, ricordi e sentimenti. però poi occorre andare avanti bro, come fai tu, come cerchiamo di fare tutti. atteggiarsi a diciottenne punkrocker a quarant’anni è secondo me piuttosto patetico, tanto su un palco quanto sotto. e te lo dice uno che a trentadue anni, la sua pogata sui rage against the machine, quando può se la fa ancora, dopo un tot di birre