King Ink came to town

06 December 2004 | By benty in Senza categoria

Nick Cave è tornato a Salonicco coi suoi semi cattivi dopo una lunghissima assenza, proprio per la chiusura del tour. L’ultima volta che si era fatto vivo da queste parti aveva addirittura tenuto due concerti, nel 1995. Un nome così grosso non transitava in città dall’avvento di sua maestà Morrissey, circa tre anni fa. Per questo motivo è stato messo a disposizione il Bellidio, che in genere viene sfruttato per megacongressi e lo spettacolo non è stato pubblicizzato in giro da volgari manifesti, bensì da eleganti stendardi che campeggiavano in centro, appesi ai lampioni. Un evento non da poco dunque: qui King Ink è venerato e, nonostante la venue fosse enorme e i biglietti costassero 40 cocuzze, c’è stato il prevedibile sold out.


Visti i precedenti poco fortunati ho rinunciato a imboscare la macchinetta fotografica, per accorgermi appena entrato che quello di fianco a me aveva una borsa enorme contenente nell’ordine: tre birre, una bottiglia di tequila, una macchina fotografica e un minidisc con microfono. Non mi sarei stupito se avesse estratto anche una agnello allo spiedo. Però quando sono passati i sei gorilla della security, con fare parecchio minaccioso, deve aver passato un brutto paio di minuti.


Aprono la serata gli australiani Silver Ray, gradevole gruppo che si è cimentato in un set breve, proponendo solo pezzi strumentali e poi gli inutili Sigmatropic, gruppo greco insostenibile e indefinibile che ha suonato per una eternità ed è stato applaudito solo all’annuncio che avrebbero cantato l’ultima canzone. Mi ricordo solo il cantante, un quasi cinquantenne vestito come Dylan Dog.


Poi arriva re Inkiostro, con tanto di Bad Seeds e coro gospel, con la gente che ancora si chiedeva dove fosse finito Blixa. La prima parte del set è tutta dedicata all’ultimo lavoro Abattoir blues/Lyre of Orpheus, che (permettetemi di dissentire da Franz) a me piace parecchio. Inizia proprio con Abattoir Blues e snocciola tutte le mie canzoni preferite dell’album. Soprattutto Breathless, un pezzo così bello che se lo ascolti di mattina e non ti si stampa un sorriso in faccia per tutto il giorno vuol dire che sei morto, Supernaturally che infervora parecchio gli animi e Get ready for love, letteralmente ruggita da Cave. Ma anche Easy money, Messiah ward, Let the bells ring, There she goes my beatiful world, Hiding all away.


La seconda parte è quella più apprezzata dal pubblico, visto che parte con Red right hand e propone solo pezzi da best of come Deanna, The ship song, The weeping song e Do you love me, cantate all’unisono dal pubblico e accolte invariabilmente da un boato. Poi escono di nuovo e rientrano per eseguire Stagger Lee e The mercy seat. E po basta che eravamo tutti stremati.


Nick è stratosferico, balla dall’inizio come uno scalmanato e vola da una parte all’altra del palco, è affabile, sorride e invita il pubblico a battere il tempo su Supernaturally, suda come un diavolo (si, bello il centro congressi, ma si è trasformato presto in un forno), ringrazia in greco sbagliando, va a chiedere delucidazioni ad Ellis e ripete il suo “efkharistò” tutto contento, sale e scende dal palco che domina. Una presenza scenica mostruosa che, fra quei pochi visti dal vivo, può vantare a mio avviso solo Iggy Pop. Un incredibile incrocio fra un ex punk e un crooner maledetto, vestito impeccabilmente ma con i demoni che covano sotto la cenere. Non ci posso credere alle storie che va raccontando dell’ufficio dove lavora come un qualunque impiegato: la roba che canta Cave è fuoco puro, non può nascere come se fosse una partita doppia. E ad onor del vero sembra bassissimo, troppo basso per avere una stempiatura così alta.


Siparietto numero uno: lascia il microfono ad uno squilibrato delle prime file che lo interrompe per fargli gli auguri (oggi è San Nicola, qui si festeggiano più gli onomastici dei compleanni) proprio mentre stava per iniziare uno speech sul fatto che si trattasse dell’ultima data.


Siparietto numero due: Nick Cave è al piano a fumarsi teatralmente la milleduecentesima sigaretta, mentre esegue God is in the house, ed è arrivato nel punto in cui c’è un attimo di silenzio e lui sta per riiniziare a cantare sottovoce. Proprio in quell’attimo di massima intensità, con la platea azzittita, uno sbraita “DO YOU LOOVE MEEEE”. Cave si mette a ridere, si ferma, si gira, e gli dice “You are a fucking idiot”. E ricomincia a cantare fra gli applausi.


Warren Ellis è l’eleganza personificata, e seppure sia rimasto di spalle, rivolto verso una delle due batterie sul palco per gran parte del concerto, è riuscito a volte a rubare la scena a Cave stuprando il suo violino elettrico come un vero terrorista sonoro. Spettinatissimo, epilettico, ovviamente in giacca nera e camicia (l’eleganza di questa gente, ne vogliamo parlare? Entrano a fare il bis con dei calici di vino in mano, non so se mi spiego. Si poi magari ha scatarrato sul palco giusto quelle due o tre volte, ma che c’entra). Su Babe you turn me on, Ellis blandisce la platea addirittura con un accenno al celebre syrtaky di Theodorakis, mimando anche mezzo passo di danza e mandando il pubblico in brodo di giuggiole. Mick Harvey si è un po’ stranito quando gli è saltato l’ampli proprio su The weeping song e allora faceva finta di suonare la chitarra, ma poco convinto.


Adesso che vi siete pappati tutti questi irrinunciabili dettagli sul concerto, aiutatemi. Il mio pianto greco ha sortito degli effetti incredibili. Nelle prossime due settimane Salonicco sarà scena dei seguenti concerti Detroit Cobras, Wailers, Twilight Singers, Lydia Lunch. Economicamente non ce la faccio a presenziarli tutti quindi indicatemene due. Comunque io ho già scelto.

6 Comments on “King Ink came to town”

  1. Ho letto il bellissimo post su Nick Cave e domani ritorno per capire che ci fai a Salonicco. Kali nichta (o kali mera! è uguale, sono le 4.30) Ciao!

     

  2. Ottimo resoconto, come sempre. Sulle scelte da prendere: di sicuro Twilight Singers, poi non so (Lydia Lunch, forse, ma non sarà un po’ bollita?)

     

  3. Twilight Singers, Lydia Lunch … stamme be!

     

  4. empty cazzolina e empty non utente anonimo …

     

  5. Boh, io ho visto di persona solo Twilight Singers, una versione tirata a lucido degli Afghan Whigs. E poi Dulli, nonostante la panza, è sempre uno spettacolo. Io me li perderò per l’ennesima volta, nonostante suonino tra un paio di giorni a 30 km da casa mia, ma tu se puoi vacci.
    Poi, se hai soldi, infilaci anche i Detroit Cobras.

     

  6. Praticamente in tutti i concerti che ho visto in cui ha fatto God is in the house c’era sempre qualche idiota ad urlare nel momento di silenzio. Però quanto meno di solito urlavano ‘Allelujah!’.. (e lui non li insultava)