Il fantastico calembour che ho deciso di utilizzare come titolo del post odierno, oltre a catapultarmi di diritto fra i blogger più originali del decennio a venire, sta a significare che, buon ultimo nella blogosfera, sono anche io andato al cinema a vedere il film della Coppola. Chiosate pure strafottendovene, avrei fatto lo stesso. Un film molto ben fatto, e che per vari motivi mi è piaciuto. Ma poichè di tutti gli aspetti positivi si è già discusso in abbondanza altrove, cercherò di condurre una pacata riflessione su quelli negativi. Andiamo a cominciare.
Primo: cos’è ‘sta storia dei microfoni che si vedevano in almeno tre o quattro scene ? Mi rifiuto di credere che non se ne siano accorti, parliamo sempre di Hollywood, mica del festival di Roccacannuccia. Meta-cinema ? Coltissimi riferimenti a qualcosa che mi è decisamente sfuggito, tipo qualche b-movie ? Un vero tocco di lo-fi ? Della vera stronzaggine ?
Secondo. Non che io sia un grande esperto di cultura giapponese: vanto unicamente le preziose conoscenze che ho acquisito tramite la ripetuta visione di perle del cinema d’animazione nipponico, quali Hello Spank e Mimì e la nazionale di pallavolo. Tuttavia, come erà già stato notato prima da altri osservatori, il film, oltre al pluricitato straniamento, sfasamento, smarrimento e smarronamento dei protagonisti , sembra pervaso da un razzismo neanche tanto nascosto. La cultura giapponese (cibo, tv, approccio fisico, pronuncia della R e quant’altro si vede e ascolta) ne esce abbastanza malconcia direi, ci si limita a liquidarli come “Strani forte”. D’accordo, non voleva essere mica un documentario, mi si dirà. Però si era da più parti detto che Tokyo e il Giappone, in L.I.T. costituivano non solo lo sfondo, ma erano bensì parte attiva e soggetto co-protagonista della storia. Una controparte che da ciò che si è visto recitava per luoghi comuni e stereotipi piuttosto usurati. Il che, ad un povero di spirito quale sono io, alla fine può anche dare una certa qual gratificazione. Si esce dal cinema convinti che sul Giappone si sappia già tutto e che Tokyo sia davvero tutta lì, visto che quelle quattro parole che vi si collegano per riflesso pavloviano compaiono o vengono citate tutte. Sakè, Gheisha, Shiatsu, Sushi, Origami, Ikebana, Karaoke, Mai dire banzai, manga/hentai e via continuando. Mancava “ninja”, e non mi sarei sorpreso che da qualche parte (magari calandosi abilmente da uno dei microfoni in bella vista) facesse capolino Sasuke, uccidendo Bill Murray a colpi di shuriken e katana e conquistando il cuore di Charlotte. Questo è per dire che poi non ci dobbiamo lamentare degli stereotipi che esportiamo, quando vengono fedelmente riportati dai cineasti stranieri per le loro storie ambientate da noi. Perchè quella è l’Italia che tutti si aspettano di conoscere e l’unica che possono riconoscere. Temo insomma che se la Coppola dovesse mai decidere di ambientare in Italia il seguito di L.I.T. la storia avrebbe come sfondo o’ Vesuvie, come sottofondo o manduline, mentre Bob e Charlotte mangiano, rigorosamente all’aperto, degli spaghetti in allegria e tutti parlano napoletano e canticchiano felici, anche se la storia si dovesse svolgere a Bergamo alta in inverno.
Arigatò.